La deputata regionale Valentina Zafarana, M5S, scrutatrice del seggio per il voto all’Ars, sia in occasione dell’elezione del Presidente quanto dei due vice presidenti, ha denunciato in più occasioni la presenza di segni di riconoscimento nelle schede su cui i deputati regionali hanno votato.
In entrambe le circostanze il Presidente della seduta – Papale, e Miccichè dopo la sua elezione- hanno scelto di non ripetere il voto e di mettere a verbale quanto denunciato in più occasione, la deputata grillina Zaferana.
La decisione rientra nel solco di quelle assunte in precedenza in analoghe circostanze. Gli episodi denunciati, infatti, non sono affatto rari. E’ assai frequente anzi che i gruppi parlamentari “proteggano” l’esito del voto con una serie di espedienti che permettano il riconoscimento. Avviene quando non si nutre fiducia nei confronti degli elettori.
L’Assemblea regionale siciliana non è certo l’unica sede nella quale questi espedienti vengono utilizzati quando il contesto lo richiede. Accade la stessa cosa nelle altre essemblee elettive: consigli comunali, provinciali eccetera. Anche in queste sedi si preferisce soprassedere nei casi in cui il sospetto dei segni di riconoscimento viene denunciato.
Le ragioni sono di varia natura. La più importante è che generalmente a presiedere il seggio, ed assumersi la responsabilità della decisione, è generalmente un rappresentante dell’area politica che adotta gli espedienti.
Ma c’è anche un altro buon motivo: è assai complicato dimostrare che si tratti di segni di riconoscimento e non, invece, solo di un modo per scrivere sulla scheda nome e cognome del destinatario della preferenza.
Facciamo qualche esempio, che non ha niente a che vedere con i casi denunciati dalla deputata Zaferana.
L’onorevole “preferito” ha un titolo (dott, prof ecc), un nome ed un cognome.I tre elementi possono essere trascritti sulla scheda in vari modi, facendo precedere il titolo, il nome o il cognome o mettendo in prima fila il cognome e poi il nome. Si può anche utilizzare il solo cognome, naturalmente, a meno che non ci sia un caso di omonimia. Se sono sotto controllo una decina di elettori il gioco è fatto.
Come si fa a giudicare questi espedienti come una furba modalità di riconoscimento del voto? IL sospetto è legittimo, la certezza impossibile da verificare. E’ come fare un processo alle intenzioni.
Talvolta questi espedienti vengono usati nelle normali urne dei seggi elettorali, quando si pretende la prova dell’impegno assunto. Ma in questo caso le difficoltà del riconoscimento aumentano considerevolmente. Invece nel voto delle assemblee, limitato ad un numero contenuto di elettori, il riconoscimento è sicuramente più facile.
Come si può ovviare a questo inconveniente? Basterebbe introdurre nel regolamento una modalità di voto molto precisa, pena l’invalidazione dello stesso: prima il nome, poi il cognome, con abolizione di altri elementi.
Oppure la scheda con l’elenco di coloro che possono essere votati, accanto ai quali porre una croce nell’apposita casella.