Era il 2 febbraio 2007 quando l’ispettore di polizia Filippo Raciti rimase coinvolto, morendo, negli scontri all’uscita dallo stadio Massimino, dopo il derby Catania- Palermo. Per il delitto vennero arrestati Daniele Natale Micale e Antonino Speziale all’epoca minorenne. A Micale, è stato concesso il regime di semilibertà dopo una condanna a 11 anni e quattro anni ancora da scontare.
ll provvedimento accoglie la richiesta dei difensori di Micale, gli avvocati Eugenio De Luca e Matteo Bonaccorsi. Il trentenne esce di carcere al mattino per andare a lavorare e rientra la sera, trascorrendo la notte in prigione. Il tribunale ha ritenuto di concedere la semilibertà nell’ottica “del graduale reinserimento sociale” al fine di consentire a Micale di “svolgere attività lavorativa come dipendente” di un supermercato. Inoltr l’ultrà ha scontato oltre la metà della pena, fruisce regolarmente di permessi premi e da alcuni mesi è ammesso al lavoro esterno e ha svolto anche volontariato” all’esterno del carcere. Mentre Antonino Speziale, resta recluso.
In tutto questo arco di tempo dove la giustizia sta facendo il suo corso è lecito chiedersi cosa ha rappresentato l’omicidio Raciti per gli italiani.Probabilmente l’uccisione dell’ispettore ha segnato una linea di demarcazione netta tra lecito e illecito, in un luogo, lo stadio diventato negli anni sempre più uno sfogatoio per ribelli, pregiudicati e sempre meno idoneo a ospitare famiglie .
Undici anni fa gli italiani e le istituzioni presero ancora una volta consapevolezza che il fenomeno della violenza negli stadi non poteva essere più sottovalutato e soprattutto non poteva essere circoscritto all’interno del campo da gioco, ma che la tragedia era dietro l’angolo e poteva avvenire in qualsiasi momento, colpendo a morte anche chi stava svolgendo il proprio lavoro mantenendo l’ordine pubblico. Per giorni telegiornali e trasmissioni affrontarono il tema, portarono le menti di tifosi e non, a un altro gesto di ordinaria follia, quello che aveva avuto come protagonista Claudio Spagnolo. Il giovane morì pugnalato al cuore da un tifoso rossonero a poche ore da Genoa-Milan, il 29 gennaio del 1995. Allora si fermò lo sport italiano, il governo garantì un giro di vite contro la violenza, disegni di legge per riportare le famiglie negli stadi affidandosi non solo alla forza repressiva e intimidatrice della norma ma soprattutto alla speranza che prendesse piede una regola che travalica ogni norma codicistica, ovvero il ” buon senso” e il “vivere civile”. E di strada ne è stata fatta da quegli anni, nonostante la comparsa sulla scena di alcuni personaggi come “Genny la Carogna” con la sua voglia di comandare e un’inaudita arroganza, insomma l’antitifoso per eccellenza o il gesto degli Irriducibili della curva Nord della Lazio che hanno sbandierato gli adesivi di Anna Frank. Secondo la procura della Federcalcio, la squadra biancoceleste potrebbe giocare la partita contro il Chievo a porte chiuse. Ci si chiede se tutto questo tra norme nate, provvedimenti di Daspo e tessera del tifoso basti a far tornare gli stadi un luogo sicuro o se la memoria di molti è davvero troppo corta e allora a volte bisogna fare un passo indietro, ricordare e prevenire senza aspettare che ci scappi un morto.