Grande Intrigo. Tifoserie scatenate, parlamentari senza voce, furbetti in prima linea

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In queste ore, sono piovute sui desk delle redazioni centinaia di dichiarazioni inneggianti il Presidente della Repubblica sul No a Paolo Savona Ministro o molto critiche sulla sua decisione di                               dotte riflessioni sulle norme costituzionali, ma anche un florilegio di volgarità e di insulti, che gli autori non riconoscono come tali. I social sono ovviamenti in prima linea. E’ una coda velenosa della campagna elettorale, che in verità non è mai finita. Anche coloro che hanno vinto il 4 marzo, sono scontenti perché non hanno vinto in modo soddisfacente, non riescono a godere pienamente del risultato, e perciò tradiscono la loro frustrazione.

Luigi Di Maio crede di avere perso la grande occasione di portare il Movimento al governo e sa che questa occasione potrebbe non ripetersi più. Non ci sono le condizioni per ottenere la maggioranza assoluta e potrebbe svanire l’alternativa leghista. Salvini deve scegliere nel prossimo turno elettorale, fra l’alleanza con Berlusconi e la Meloni, oppure l’intesa, assai improbabile, con il M5S. Assai improbabile che scelga i figli di Beppe Grillo.

Salvini, peraltro, ha imboccato la strada del governo gialloverde con il groppo in gola. Sapeva di non potere contare sugli alleati in alcune questione chiave, come “l’invasione degli stranieri”, nonostante il contratto. Sapeva anche di essere esposto alle critiche del centrodestra oltre a quelle della sinistra, andando al governo. Era, ed è convinto, che tornare alle urne potrebbe permettergli di raddoppiare il portafogli di consenso, magari a danno di Berlusconi e Forza Italia.

Potrebbe perfino nutrire l’ambizion e di fare da sé, una corsa solitaria, se lo volesse. Il caso Savona, che non ha pianificato, gli ha offerto una opportunità imperdibile per smarcarsi, tornare alle urne da paladino degli interessi italiani a Bruxelles, e grande nemico di Mattarella, icona della Germania e dei poteri forti.

Se avesse voluto il governo, Salvini, e con lui Di Maio, avrebbe avuto mille possibilità di manovra, altro che Savona. Giorgetti, suggerito dallo stesso Mattarella, sarebbe stato una carta spendibile. Ha preferito “amputare” il suo braccio destro per tenere il punto con il Quirinale ed uscire dalla disputa con le carte un regola nei confronti del suo elettorato. Savona serebbe potuto divebtare l’eminenza grigia del Governo. Espedienti per superare l’empasse ce ne sarebbero stati tantissimi. E invece niente, la strada scelta sarebbe il processo a Mattarella in Parlamento per valorizzare la posizione antitedesca ed anti-europea. Un abbrivio drammatico, che non ha precedenti.

O meglio, i precedenti ci sono. In ogni Settennato il Quirinale ha detto la sua sulla nomina dei Ministri, da Pertini a Napoletano. Solo che ogni volta si è trovata la quadra con una soluzione indolore. In questa circostanza, invece, uno dei partiti vincitori ha preferito salire sul tram del possibile trionfo, scegliendo il ritorno alle urne. Come facciano ad essere così sicuri che gli italiani vogliano il bis e si spellino le mani per ottenerlo, è un mistero.

Dei parlamentari, infine, si è parlato poco, di loro non si è tenuto conto finora. Potrebbero, invece, fare la differenza.

 

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