iSe ci fosse stata l’Italia ai mondiali di calcio in Russia l’argomento principale di discussione nei luoghi pubblici, sarebbe stata la nazionale azzurra. Il nostro è un Paese di coach, ce ne sono almeno una decina in ogni bar dello sport, e molti di più negli uffici e nei posti di lavoro. Ma il flop di Gianpiero Ventura, provocato anche dal goal subito dall’Italia in Macedonia (è stato Trajkovsky, rosanero, a trafiggere Buffon), ha eliminato dalle conversazioni la nazionale. Gli italiani si dedicano,così, alla composizione del nuovo governo. Quale “squadra” prenderà possesso di Palazzo Chigi? Quale modulo di “gioco” sarà preferito? Chi guiderà il team e quanta vita avrà?
Ognuno azzarda previsioni, avanza suggerimenti, esprime opinioni, indica la strada più conveniente, e tifa per una delle parti in causa. C’è chi si rammarica per le difficoltà di comporre una maggioranza ed chi, invece, non nasconde la soddisfazione per l’impasse che il risultato elettorale ha provocato. Colpa del Rosatellum o degli elettori che hanno suddiviso i suffragi in modo da non consentire una chiara maggioranza parlamentare?
Tifo da stadio per i vincitori – M5S e Lega di Salvini – e tensione sul campo degli avversari, presidiato dal Nazareno, alla vigilia di un cambio di guardia per le dimissioni – prossime venture – di Matteo Renzi.
Coloro che possiedono i fondamentali della politica ragionano di tattiche e strategie, quanti si sono fatti le ossa nei Palazzi si tuffano sui precedenti. La Terza Repubblica deve cercare nella prima, infatti, l’escamotage utile per salvare la legislatura o almeno per evitare il ritorno alle urne in un breve lasso di tempo.
Due le dritte che arrivano dal popolo dei tifosi-coach: il governo di scopo e il governo della non sfiducia. Il primo nascerebbe con un’agenda di cose da fare molto scolorita: evitare lo stallo della pubblica amministrazione, ed un compito che fa tremare i polsi, la modifica del Rosatellum e l’adozione di una legge elettorale che permetta la governabilità.
Il governo della non sfiducia affonda le radici nella prima Repubblica. Si trovano tracce indelebili del suo passaggio negli anni settanta. Furono la DC ed il PCI a farlo nascere nel 1977, con Giulio Andreotti, inviso a larga parte dello schieramento di sinistra per la sua recente esperienza di un governo di destra di breve durata. Berlinguer finì con il trangugiare la pillola amara di Andreotti per dare la possibilità al Paese di governare la crisi economica scoppiata con il prezzo del petrolio.
La non sfiducia si rivelò un espediente utile, seppur di breve durata. L’opposizione di sinistra – comunista e socialista – si astenne, permettendo la nascita del nuovo governo. Né fiducia, né sfiducia. Un’alchimia, naturalmente, in perfetta linea con le altre trovate che hanno di volta in volta permesso alla democrazia parlamentare ed al Paese, di superare tensioni ed empasse drammatiche.
Ci si può aspettare una incursione nelle trame bizantine della prima repubblica per superare lo stallo al quale le urne hanno consegnato l’Italia?
Il pessimismo è lecito. L’era post-ideologica, invece che semplificare le cose, le ha aggravate. I veti incrociati sono più corrivi dei veti ideologici. Non c’è un partito che dispone di due forni, come la DC. Né uno schieramento, come il Pci, che abbaia senza mordere. I picciotti di oggi hanno la spada nel fodero, pronta per essere usata, costi quel che costi. Gli effetti collaterali non spaventano, sono nel conto.