E ora che succederà? Mentre i commentatori si interrogano sulle motivazioni del successo del M5s e della Lega alle elezioni dello scorso 4 marzo, le forze politiche tessono l’ordito che può consentire l’uscita dalla situazione di stallo determinata dal risultato delle urne. Chi scrive non ritiene soddisfacenti le analisi fin qui prodotte sul voto: protesta contro il ceto politico, disagio sociale, paura di quello che é più povero di te ma è nero di colore, crollo dei meccanismi tradizionali di gestione del consenso sono certamente concause importanti ma non bastano a spiegare un fenomeno che ha pochi precedenti nella storia repubblicana. I
Il Manifesto parla di Balena gialla, Salvo Sottile sul Foglio pone interrogativi pesanti in particolare sulla Sicilia, ma c’è qualcosa di più e di diverso: si è trattato di un voto trasversale che supera e dissolve le tradizionali divisioni politiche, una sorta di urlo lanciato contro una politica giudicata ormai un mestiere corrotto e compromettente. In questo senso, è tutto il ceto politico ad essere messo in discussione. Nel Meridione, per esempio, è una condanna senza appello in regioni che sono state governate per anni dal centrosinistra. Si vuole affermare, insomma, che le chiavi interpretative di quanto è avvenuto domenica sono molteplici e non riguardano solo i cinque stelle.
La Lega in Sicilia, nella regione cioè che rappresenta la frontiera dell’Italia sul Mediterraneo, ha quintuplicato il suo voto. Che significa? E che senso ha il voto plebiscitato ai cinque stelle nei quartieri delle grandi città dove in passato sono stati sempre presenti il voto controllato e lo scambio politico-mafioso? L’analisi va approfondita ma un primo, parziale riscontro sarà possibile già tra qualche mese.
Nella tarda primavera, infatti, si voterà per l’elezioni dei sindaci e dei consigli comunali a Catania, Messina e Trapani oltre che in diversi centri minori. Sarà assai interessante capire se Di Maio e Salvini conserveranno il consenso conquistato. Nel frattempo, al centro dell’attenzione resta la vicenda del PD che nel sistema tripolare è paradossalmente la chiave di volta della possibilità di formare un governo.
Fino all’altro ieri si lanciava lo stigma dell’inciucio, ora si chiede a chi ha perso responsabilità istituzionale. Ben strano, ma é proprio vero che la politica offre sempre sorprese. La politica è anche l’arte del possibile e col possibile bisogna fare i conti. È chiaro che l’unico modo attraverso cui il centrosinistra può ridare a se stesso una prospettiva credibile è una lunga traversata nel deserto della ridefinizione dei propri valori, idee e posizioni politiche. Tuttavia, conclusa la traiettoria del renzismo, si sta senza dubbio esercitando sui democratici una pressione pesantissima. Tutto il gruppo dirigente del P D, con l’eccezione di Emiliano, sembra fermo sulla posizione del no all’alleanza con il M5s, mentre quella con il centrodestra è giudicata del tutto impraticabile. In teoria, se Di Maio venisse meno alla sua richiesta di insistere di andare a palazzo Chigi con il programma e con la squadra di governo già designata prima delle elezioni si potrebbe aprire uno scenario nuovo. Non è sembrato un caso, per esempio, che il novello iscritto ai democratici, Calenda, abbia accennato alla possibilità, attraverso un accordo esplicito, di votare a favore di singoli provvedimenti del governo pentastellato. Come ricordava Parlagreco, la prima repubblica, ancorché morta e sepolta, ha un immenso patrimonio di fantasia politica cui attingere. In politica mai dire mai.
