E’ troppo presto per fare previsioni sulla base degli elementi di cui disponiamo: il governo ha appena cominciato la sua avventura al suono delle fanfare e con grandi aspettative. Nonostante la risicatissima maggioranza, durante le prove d’Aula la coalizione di centrodestra ha retto bene ed è riuscita anzi ad infiltrarsi tra le maglie, invero larghe, dell’opposizione di centrosinistra.
E’ vero che in cima ai pensieri di Nello Musumeci c’è stato il Presepe da introdurre nelle scuole siciliane – che è una buona cosa, però non può prescindere dalle volontà di coloro che lo devono realizzare – ma il bisogno di aprire un’altra pagina ha indotto all’ottimismo anche coloro che devono curare la gastrite provocata dalla fiamma tricolore che svetta in cima a Palazzo d’Orleans.
Lo scenario, quindi, è apparso subito favorevole al punto da farci dimenticare sia l’eterogenea composizione del governo – mai tanta diversità fra i suoi membri – quanto l’attitudine del centrodestra a vincere le battaglie unendo le forze e perdersi invece nelle cure della quotidianità.
Il severo giudizio di Vincenzo Figuccia sulle intenzioni di Gianfranco Miccichè a proposito degli stipendi d’oro ha innescato a pochi giorni dallo start up la prima miccia. L’assessore all’energia ed ai rifiuti è abituato a sventolare solo la sua bandiera, non conosce padroni né fa calcoli politici che vanno al di là della sua persona e della sua famiglia (di sangue) e del palmo del suo naso. E’ l’unico caso, nella storia politica siciliana, in cui il partito di appartenenza è la famiglia, Figuccia naturalmente. Digiuni, bacchettate a destra e manca, dichiarazioni, valanga di comunicati, propositi e spropositi diffusi urbi et orbi, hanno impedito che il partito di Figuccia fosse dimenticato per un solo giorno. Non c’è stato tema, argomento, questione, enigma, personaggio, evento che non abbiano visto i Figuccia affacciarsi sulla cronaca e dire la loro, dalle prostitute sui marciapiedi agli uccelli di Palazzo d’Orleans, dalla elezione di Donald Trump e Gentiloni, Renzi e, naturalmente, Miccichè.
Ma è soprattutto di quest’ultimo che Vincenzo Figuccia, nel corso della lunga logorante campagna elettorale l’assessore si è occupato con una determinazione, tenacia e coerenza che non ha precedenti. Gianfranco Miccichè è stato un bersaglio fisso. Glie ne ha dette proprio di tutti i colori all’attuale Presidente dell’Assemblea.
Figuccia non si è risparmiato nel rappresentare le ragioni della candidatura di Nello Musumeci, avversando il tentativo di Miccichè di cambiare cavallo. Perciò ha sorpreso non pochi che il Nemico n.1 di Miccichè ascendesse al soglio del governo per decisione del governatore e dell’Udc, ultimo partito politico di Figuccia in ordine di tempo. E’ apparso un premio alla fedeltà –verso Musumeci- e alla accesa battaglia contro Miccichè, giudicato inadatto a ricoprire ruoli di responsabilità.
Ancora più sorprendente appare perciò che sia prevalsa la coerenza anche dopo la composizione del governo e degli organigramma dell’Assemblea regionale. Vincenzo Figuccia non ha arretrato di una virgola invece che mediare, cercare un escamotage, puntare sulla questione in sé – gli stipendi d’oro. Il bersaglio è restato Miccichè, commissario di FI, cioè lo schieramento politico più forte della coalizione che ha permesso a Figuccia di entrare nel governo.
La pervicacia dell’assessore è stata criticata dai forzisti e dallo stesso stato maggiore dell’UDC. Francesco Scoma, senatore e vice commissario FI, ha chiesto a Musumeci di liberarsi del suo assessore per far tornare il sereno nella coalizione, richiesta che è rimasta però finora inevasa. Figuccia ha addirittura ribadito il suo punto di vista: l’elezione di Miccichè alla presidenza dell’Ars resta un grave errore della coalizione, secondo l’assessore.
Che succederà? Finora Micciché ha dato ai suoi colleghi, con lui solidali, l’incarico di rintuzzare le velenose frecciate di Figuccia. Ha taciuto per non fare danno, insomma. Ma non può continuare a farlo se Figuccia insiste. Ed allora sarà un bel problema, a meno che Musumeci – finora silente – non disinneschi la mina con un espianto. Scelta improbabile e soprattutto gravida di conseguenze, perché l’assessore è un deputato regionale della maggioranza.