
Già seduti nei banchi della sinistra, tra i radicali, e qualcuno pure a destra, i volti noti dei barricaderos italiani, dei leader del ’68, sembrano oggi – a cinquant’anni esatti dalla contestazione studentesca – scomparsi dal Parlamento, con una sorta di silenzio/rimozione che sembra mettere d’accordo tutti. Gli ex contestatori, divenuti onorevoli, lasciano cadere l’argomento, tra chi non vede questa assenza come un problema e chi si rifugia dietro motivi anagrafici: “ormai siamo 70enni, largo ai giovani”. Controcorrente Pier Luigi Bersani che non nasconde come quel vento nuovo nato nel ’68 “sarebbe anche oggi un toccasana per la politica”.
Quella di chi dalle piazze sessantottine di tutta Italia, da Milano, Torino, Trento, Padova e Roma, è poi arrivato nei banchi del Parlamento è una storia che ha riempito le cronache politiche. Da Mario Capanna, leader degli studenti milanesi e poi alla testa di Democrazia proletaria, a Emilio Vesce di Potere operaio, a Marco Boato e Luigi Manconi, tra i fondatori di Lotta Continua, il primo in Parlamento per sei legislature, l’altro senatore dem in quella appena conclusa, solo per citarne alcuni, senza dimenticare la vicenda di Toni Negri.
Quest’ultimo, già leader dell’Autonomia operaia, finito nel mirino dei magistrati per associazione sovversiva, viene scelto da Pannella come simbolo della lotta alle leggi speciali e alla carcerazione preventiva, divenendo, nel giugno dell’83, deputato con circa 13mila preferenze e scatenando poi un caso, dopo la fuga in Francia, per evitare l’arresto.
“Io ero giovane a quei tempi, ma il ’68 me lo sono fatto e non mi offendo certo se qualcuno mi dà del sessantottino”, dice Pier Luigi Bersani all’AdnKronos, rivendicando gli ideali che segnarono quella esperienza.
“In quegli anni l’idea della contestazione, del rifiuto dell’autoritarismo, fu quella che prevalse e – sottolinea l’ex segretario del Pd – anche nella politica il ’68 trovò un orecchio attento”.
Per Bersani “gli anni ’60 preparano il ’68 e gli anni ’70 lo ‘realizzarono’ in Parlamento”. “Tina Anselmi chiude i manicomi perché prima c’è stato Basaglia e poi il ’68 che rilancia la stagione dei diritti”, perché “il 68 riuscì a ‘sbucare’ nei luoghi del Parlamento, in un momento in cui le istituzioni dei rappresentanti erano all’altezza, capaci di prendersi le proprie responsabilità”.
“Visto che il ’68 contestava le istituzioni sarebbe meglio chiedersi, al contrario, come è che siamo entrati in Parlamento, piuttosto che accorgersi ora che non c’è più nessuno dei reduci di quella stagione”, spiega Franco Russo, tra i leader della nuova sinistra, e poi deputato, per quattro legislature, prima con Democrazia proletaria e poi con i verdi, fino al 2006. “Non so – sottolinea all’AdnKronos – se dietro tutto c’è ‘l’astuzia della storia’ di cui parlava Hegel, ma oggi la rappresentanza politica in Italia, come anche in Francia, è completamente cambiata”.
“Chi è nei Palazzi ora – è il ragionamento di Russo – prende il voto di chi è fuori, e, ad esempio, i Cinque Stelle mi pare rappresentino abbastanza bene quella parte della società, fortemente precarizzata, che ha 35-40 anni e che manda in Parlamento persone come loro, come ad esempio Roberto Fico, uno che ha fatto tanti lavori, anche nei call center o lo stesso Luigi Di Maio”.
Per l’ex fondatore di Democrazia proletaria “i 70enni, come me, è ora giusto che non ci siano, ma non rinnego l’esperienza parlamentare” perché “come Dp abbiamo fatto bene a tentare di portare le istanze del ’68 nei Palazzi, anche se una riflessione su quello che è successo andrebbe fatta ed estesa a tutta la sinistra”, alla luce degli esiti finali. “Non siamo riusciti a costruire l’alternativa al sistema capitalistico in un momento in cui si pensava fosse possibile”, si rammarica Russo.
Luigi Manconi, ex senatore dem della scorsa legislatura, tra i leader di Lotta Continua (“ma io preferisco dire che ero un semplice militante”) non vuole parlare del tema ’68: “La retorica del reducismo – dice – mi è insopportabile, non è una tonalità che mi appartiene”. “Tempus fugit”, taglia corto anche Massimo Cacciari: l’assenza dal Parlamento dei sessantottini “non ha alcun significato politico, visto che ne sono rimasti pochi pure fuori”.
Conclude così invece Bersani: “Per sbloccare la nostra impasse attuale, spero che ci potremo svegliare un mattino con movimento che dia freschezza alla politica e che ci sia una politica capace di tener le orecchie a terra, per ascoltare quello che viene da fuori”.
“Per ora non lo vedo, ma sperare è una cosa che nessuno ci può vietare”, rivendica l’esponente di Leu, con uno slogan in pieno stile sessantottino.
(Sai/AdnKronos)