Cambio di stagione: Di Maio veste Prada, Renzi indossa jeans, Salvini torna alla felpa

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Il M5S, alle prese con la partita di governo, propone alleanze a destra e manca, chiamandole “contratti”; il PD, arroccato all’opposizione, non vuole avere niente a che fare con il M5S e con il centrodestra. Né alleanze, né contratti.

Dopo avere tracciato per anni il territorio, impedendo che i confini fossero sfiorati – bastava che si insinuasse l’idea di una trattativa perché e arrivassero smentite ed insulti – il M5S scopre la sua natura seduttiva. Corteggia, ammannisce,  ammicca. E s’arrabbia se la seduzione non ottiene successo.

Ha costruito il suo bunker inattaccabile – “noi siamo diversi” – che, alle prese con la partita di governo, si è trasformato in una camicia di forza. Il trauma potrebbe essere letale. Non si governa da soli, le alleanze si trattano e i contratti si stipulano dopo un laborioso confronto alla ricerca delle convenienze reciproche. Si possono porre paletti e limiti quanto si vuole, ma la fascia di rispetto non può invadere l’ambito altrui.

Di Maio veste Prada, dopo avere trascorso una vita in jeans e maglietta a girocollo. Il cambio di stagione talvolta diventa una violenza, ma non l’ha prescritto il medico che si debba governare senza averne i numeri.

Nella famiglia dem, rissosa e disinvolta, la consuetudine alle alleanze ed alle mediazioni è connaturata alla cultura originaria. Un vestito su misura? No, uno per ogni clima e per ogni evento.  Nella legislatura precedente a quella in corso, i numeri del Parlamento hanno richiesto ai dem anche le larghe intese, una forte contaminazione con i berlusconiani. Il patto con il diavolo, dopo avere provato con quel galantuomo di Bersani a stringere un’alleanza con i 5 Stelle.  L’ex segretario PD si prese un dispiacere e incassò ogni sorta di accuse, sorvolò su insulti e aspre critiche per mandare all’opposizione il centro destra. Tutto inutile. Così arrivò Enrico Letta prima e Matteo Renzi successivamente.

Il pragmatismo postcomunista e l’ecumenismo democristiano, presenti in dosi abbondanti nel PD, non sono bastati a “salvare” la scorsa legislatura dalle larghe intese e dai governi aggrappati alle scissioni (senza gli alfaniani si sarebbe andati alle urne). Ora quell’eredità culturale, proveniente dal vecchio Pci e dalla vecchia DC, è stata archiviata. Il PD ha adottato il modulo grillino –  sulità è santità,  come proclamano i giocatori di tressette per esorcizzare paura e audacia – mentre i grillini hanno adottato il modello dem. Se Di Maio veste Prada, Renzi torna Fonzie e indossa jeans.

Si può gettare alle ortiche una cultura della mediazione e delle alleanze, una vocazione al dialogo, una abitudine al pragmatismo, per ragioni tattiche (o strategiche) dall’oggi al domani?

E’ prevedibile che sia nel M5S quanto nel PD siano in tanti a storcere il naso. I grillini hanno trovato rifugio nel ritorno alle urne. Invocando il voto si prendono una boccata d’ossigeno. Archiviate trattative e corteggiamenti. Il PD renziano sembra godersi la gioia di una opposizione solitaria. I fatti s’incaricheranno di mandare all’aria furbizie ed espedienti tattici abbastanza presto. Il Colle non vuole rimandare gli italiani ai seggi.

Lunedì Matteo Salvini indosserà giacca e pantaloni d’ordinanza in occasione del nuovo invito al Quirinale, poi rimetterà la felpa.

 

 

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