Vigilia turbolenta e tradimentosa della Direzione PD. Il Nazareno ribolle di rabbia mentre aspira alla quiete. La solita schizofrenia. Prende atto della tempesta e prepara gli ombrelli, mentre esorcizza la pioggia. Lancia l’allarme giallo ed affida alla “protezione civile”, i pontieri, la mediazione, per uscire dal cul de sac con una immagine di unità e coesione in zona Cesarini.
Trovare la quadra, con tutta la buona volontà di questo mondo, sarà complicato, perché bisogna far convivere un “no” netto ed incontrovertibile a governi Di Maio o Salvini con il bisogno, altrettanto desiderato e ben rappresentato da autorevoli leaders, di non uscire di scena e lasciare ad altri il tavolo della concertazione in una fase delicata nella composizione del nuovo governo. C’è paura di non contare nulla e paura di essere “plagiati”.
Alla testa dei governativi sembra esserci Franceschini, che ha ricevuto una promozione sul campo da Di Maio. La pagella grillina del Ministro dei Beni culturali e di quello degli Interni, Minniti, ha ricevuto buoni voti. Se il contratto proposto da Di Maio dovesse essere firmato, eventualità piuttosto lontana, i due dem verrebbero optati.
Franceschini è uomo di cultura e di mediazione, ha uno spirito ecumenico e si trova a suo agio in un mondo postdemocristiano con una bussola datata. Trova sempre, al momento giusto, la collocazione più consona e cade sempre in piedi. Renzi, la controparte, è spiccio, netto, avventuroso, leaderista, insofferente di ciò che non lo persuade. Soffre come mai l’idea, diffusa, che sia un dc doc. Una schizofrenia indotta.
Ma tutto questo è arredo. Niente. L’ex segretario ha detto chiaro e tondo come la pensa e crede che ne avesse diritto quanto gli altri ad esprimere la sua opinione. Che la sua opinione da Fazio avrebbe bruciato la Direzione e creato trambusto lo sapeva già. Ha trasformato una intervista a “Che tempo che fa”, una delle tante, nell’evento più atteso e discusso della primavera. Niente male per un leader plurisconfitto e dimissionario.
La questione principale resta, comunque, la risposta da dare al M5S e al contratto proposto da Di Maio. Renzi ritiene che i parlamentari – deputati e senatori dem – la pensino come lui (“tocca a Di Maio e Salvini governare, sono i vincitori”), e in queste ore sono pure stati diffusi i numeri di questa maggioranza schiacciante dentro il partito e sui banchi delle due Camere.
Ma il sondaggio del Corriere della Sera, pubblicato domenica, lascia qualche margine al dubbio, se ci si allontana dalla militanza. Il 39 per cento degli elettori dem intervistati ritiene che il governo M5S-PD possa essere la scelta migliore, appena il 10 per cento propendono per il Pd-Centrodestra, l’11 per cento per il M5S-Lega, mentre il 42 per cento vorrebbe che si tornasse a votare subito.
Significa che l’ex segretario millanta un credito che non possiede? Affatto, la militanza, interrogata sulla soluzione, fa prevalere un’ottica meno politicante, privilegia un governo per mettere in moto il Paese. E l’esecutivo più “amato” non può che essere un “M5S-PD”. E’ il gioco della Torre, insomma. Non un sondaggio aperto.
Se si esce dalla militanza e ci si rivolge ai quadri intermedi, ai dirigenti ed i parlamentari, le cose cambiano. Renzi ha costruito un partito che, nonostante la conflittualità, sembra rappresentare le sue idee, i suoi umori. Per questa ragione le cose sono complicate e a cominciare dal reggente, Martina, prevale il dissenso al top della piramide.
La svolta può avvenire solo da una generosa disponibilità dell’ex premier, altrimenti mala tempora currunt.