Palermo, Lorefice: la Chiesa del silenzio non c’è più

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Don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, alla conferenza promossa dal Centro Studi Pio La Torre sul tema "Il ruolo della Chiesa di Papa Francesco nel contrasto alle mafie, alla corruzione, alla povertà e alle diseguaglianze sociali".


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L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, al cinema Rouge et Noir di Palermo, a margine della conferenza del progetto educativo antimafia 2017-18 promosso dal Centro Pio La Torre dal titolo: “Il ruolo della Chiesa di Papa Francesco nel contrasto alle mafie, alla corruzione, alla povertà e alle diseguaglianze sociali” ha fatto alcune dichiarazioni, esprimendo il suo parere a proposito di alcuni temi scottanti, quali immigrazione, elezioni, distanza della politica dal cittadino, povertà:

Nei confronti dell’immigrazione dobbiamo essere lucidi. Alcuni temi come questo possono essere cavalcati con altre intenzioni, altre finalità e altri interessi. Non possiamo dimenticare che sul volto di ogni uomo c’è il nostro. Se noi ci relazioniamo con l’altro partendo dal colore della pelle o dalla cultura abbiamo perso il cuore di ogni convivenza umana”.

“E’ chiaro che dal voto di domenica che ha visto in Sicilia un exploit del M5S emerge un malcontento su cui e’ necessaria una presa di coscienza. Bisogna adesso verificare se si riesce a saper vivere in pienezza l’istanza di cambiamento e a dare risposte che guardino realmente ai bisogni della gente”.

Una politica distante” dai bisogni della gente “diventa ‘cortile'”, pettegolezzo. “Tra la gente c’e’ sofferenza”, in alcuni casi “si vive in uno stato di povertà avanzata. L’Italia e’ in ginocchio e di queste cose bisogna prendersi cura”.

“Chi e’ ai vertici delle istituzioni deve esprimere una esemplarità di vita”.

“C’e’ tanta gente che vive di stenti con pensioni che non bastano per comprare il necessario – ha aggiunto Lorefice -. Oggi più che mai chi riveste un compito istituzionale deve avere maggior consapevolezza, essere un punto di riferimento e dare una testimonianza di vita”.

“Dobbiamo chiedere perdono per quanto la Chiesa non ha fatto nel passato nei confronti della mafia. Per quanto la Chiesa sia stata omissiva, per quando abbiamo annunciato ma non praticato valori evangelici a difesa di una terra violentata dalla mafia”.

“Se oggi pero’ sono qui a guardare avanti con fiducia ad una Sicilia liberata – continua don Lorefice -, se sono qui a sperare in un futuro di pace, giustizia e dignità’ e’ perchè negli anni questo atteggiamento della Chiesa e’ cambiato. Se sono qui lo devo anche alla testimonianza di due preti e di un magistrato. Alla testimonianza di don Pino Puglisi, con il quale ho condiviso alcune esperienze con i giovani. All’esempio di don Peppe Diana, ucciso a 36 anni dalla camorra e di Rosario Livatino, magistrato ucciso a 38 anni e profondamente cattolico. Da loro ho ricevuto la testimonianza che una chiesa libera e liberatrice e’ una Chiesa che non cerca appoggi o privilegi dalle classi dirigenti, ma che confida solo nella potenza esaltante del Vangelo di Gesu’ Cristo”.

“La Chiesa che Papa Francesco sta disegnando – conclude l’arcivescovo di Palermo – vuole partire dalla realta’, dalla concretezza. Una indicazione di rotta indicata anche dal suo primo viaggio apostolico a Lampedusa nel luglio 2013. Bisogna partire dagli esclusi, dagli scartati della societa’, dalla lotta alle ingiustizie”.

“Il silenzio sulla mafia da parte della Chiesa siciliana – ha spiegato il professor Rosario Mangiameli, storico dell’Universita’ di Catania – e’ spesso attribuito alla “necessita’” negli anni dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del comunismo (1989-90) di tenere compatto il fronte anticomunista. Minimizzando il ruolo della mafia la Chiesa avrebbe evitato di mettere in evidenza una realtà’ che avrebbe potuto avvantaggiare l’avversario, ritenuto il pericolo maggiore per via della professione di ateismo. Ciò può essere vero, si veda per esempio la vicenda dei frati di Mazzarino e la difesa ad oltranza fatta dalle gerarchie ecclesiastiche in diverse fasi del processo. Quella dell’anticomunismo – ha concluso Mangiameli – può essere pero’ una spiegazione riduttiva, che vale meno per il periodo ottocentesco e primo novecentesco in cui non si sente una voce cattolica che condanni comportamenti e azioni mafiose. Tranne casi eccezionali come quello di Sturzo che conduce una vera battaglia antimafia nel comune di Palagonia”.

A moderare l’incontro Franco Nuccio, direttore di Ansa Sicilia che ha sottolineato come l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della mafia e’ attraversato da varie fasi. La prima fase e’ quella del silenzio o dell’acquiescenza. Arcivescovo di Palermo era Ruffini che sosteneva che la mafia fosse una invenzione dei giornali e che il vero male della Sicilia fossero Danilo Dolci, che lottava a fianco dei braccianti, e il romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Poi c’e’ la fase del cardinale di Palermo Pappalardo, della sua denuncia aperta della mafia nei funerali di Falcone. La terza fase e’ nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio. Nella Valle dei Templi, Papa Giovanni Paolo II lancia un’anatema e una scomunica contro i mafiosi. Parole di condanna poi ripetute da Papa Francesco”.

Il prossimo appuntamento del Progetto Educativo Antimafia sarà il 27 aprile, giorno nel quale verra’ ricordato il 36° anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo.

ITALPRESS

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