Mattarella scioglie le Camere, 10 giorni d’anticipo, tappe di fine legislatura

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Conto alla rovescia per lo scioglimento  delle Camere da parte del Presidente della Repubblica, Sergio  Mattarella. Si tratterà di una fine di poco anticipata della  legislatura rispetto alla scadenza naturale, prevista il prossimo 14 marzo, come sempre avvenuto nella storia della Repubblica al termine  dei cinque anni di durata del Parlamento. Diverso il caso di apertura  di crisi di governo senza che si riuscisse poi a varare un nuovo  esecutivo, con la necessità di ricorrere quindi ad elezioni anticipate di un anno o più rispetto alla data preventivata.

Tra domani e venerdì 29, quindi, il Capo dello Stato, in base  all’articolo 88 della Costituzione, convocherà i presidenti del  Senato, Pietro Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, e, sentito il  loro parere, emanerà il decreto di scioglimento dei due rami del  Parlamento, controfirmato dal presidente del Consiglio, Paolo  Gentiloni.

Successivamente, riceverà il presidente del Consiglio, Paolo  Gentiloni, probabilmente insieme al ministro dell’Interno, Marco  Minniti, per firmare il decreto di indizione delle elezioni, con il  quale, dopo la relativa decisione del Consiglio dei ministri, verrà  fissata anche la data della seduta inaugurale delle nuove Camere, che  in base all’articolo 61 della Carta dovrà svolgersi non oltre il  ventesimo giorno dalle elezioni. Se quindi si voterà il 4 marzo del  prossimo anno, la diciottesima legislatura dovrebbe iniziare venerdì  23 marzo

Al voto i cittadini dovranno essere chiamati non prima del quarantacinquesimo giorno a partire dalla pubblicazione del
decreto di fissazione dei comizi elettorali e non oltre il
settantesimo dallo scioglimento delle Camere.

Durante il procedimento che porterà alla fine della legislatura e
all’inizio del percorso elettorale non è obbligatorio che il
presidente del Consiglio si rechi, dimissionario o meno, dal Capo
dello Stato. Quindi Gentiloni potrà rimanere in carica non solo per
gli affari correnti, a maggior ragione se non presenterà le
dimissioni, che comunque potrebbero essere sempre respinte, come ad esempio avvenne nel 1994, Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro e presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi.

Rimanendo ai precedenti più recenti, nel 2001 il Presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, lo stesso giorno, l’8 marzo,
ricevette il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, quindi quelli
di Senato e Camera, Nicola Mancino e Luciano Violante, prima di
firmare il decreto di scioglimento del Parlamento, controfirmato dal
premier. Subito dopo il segretario generale della Presidenza della
Repubblica, Gaetano Gifuni, si recò dai presidenti del Senato e della
Camera per comunicare il provvedimento di scioglimento.

Il giorno dopo, a seguito delle decisioni prese dal  Consiglio dei ministri, Amato si recò al Quirinale insieme al ministro dell’Interno, Enzo Bianco, per sottoporre alla firma di Ciampi il  decreto di convocazione dei comizi elettorali per il 13 maggio 2001,  contenente la fissazione della data della prima riunione delle nuove  Camere fissata per il 30 maggio. Naturalmente tutto questo avvenne  senza che venissero presentate le dimissioni da parte di Amato, che  quindi rimase in carica nel pieno dei poteri.

Stessa procedura nel 2006, sempre con Ciampi Presidente della  Repubblica, con la differenza che il Capo dello Stato l’11 febbraio  ricevette il presidente del Senato, Marcello Pera, e quello della  Camera, Pier Ferdinando Casini, senza che prima ci fosse stato un  passaggio al Quirinale del presidente del Consiglio, Silvio  Berlusconi. Niente dimissioni quindi da parte del premier, rimasto  perciò regolarmente in carica.

Lo stesso giorno arrivarono i decreti di scioglimento delle Camere e,  dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri e l’udienza al Colle  di Berlusconi e del ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, di  indizione delle elezioni, fissate per il 9 e 10 aprile, con la data  della prima riunione delle nuove Camere prevista per il 28 aprile.

Più traumatica la conclusione della precedente  legislatura, quando il presidente del Consiglio, Mario Monti, si  presentò dimissionario l’8 dicembre del 2012. Dopo l’incontro con il  Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, accettò di rimanere  in carica fino all’approvazione della legge di bilancio, per poi  rinnovare le sue dimissioni irrevocabili il 21 dicembre. Il Capo dello Stato ne prese atto e invitò il premier a rimanere in carica per il  disbrigo degli affari correnti.        Il giorno dopo, al termine di un rapido giro di consultazioni,  Napolitano, sentiti i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, firmò il decreto di scioglimento del Parlamento.  Contestualmente, vidimò anche il provvedimento, presentatogli, dopo il Consiglio dei ministri, da Monti, accompagnato dal sottosegretario  alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, che fissava le  elezioni per 24 e il 25 febbraio 2013 e la data della prima riunione  delle nuove Camere per il 15 marzo. Anche in questo caso la  legislatura aveva comunque sostanzialmente terminato il suo corso  naturale, fissato il 28 aprile 2013.

Da notare infine quanto avvenne nel 1994. Dopo l’approvazione della  nuova legge elettorale maggioritaria, il Presidente della Repubblica,  Oscar Luigi Scalfaro, ritenne necessario procedere al rinnovo del  Parlamento. Il 13 gennaio il presidente del Consiglio, Carlo Azeglio  Ciampi, presentò le sue dimissioni e tre giorni dopo il Capo dello  Stato, sentiti i presidenti del Senato, Giovanni Spadolini, e della  Camera, Giorgio Napolitano, sciolse le Camere e firmò il decreto che  fissava le elezioni il 27 e 28 marzo, con la data di riunione del  nuovo Parlamento per il 15 aprile. La particolarità è che Scalfaro,  pur in presenza di uno scioglimento anticipato non di natura tecnica  (la legislatura non aveva compiuto neanche due anni) respinse le  dimissioni del presidente del Consiglio, che quindi rimase in carica  non solo per gli affari correnti.        (Sam/AdnKronos)

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