La cucina, nonostante il poco tempo da dedicarle, rimane l’ambiente cardine dello stare in casa, è una di quelle stanze in cui ognuno vuole far respirare la propria interpretazione di vivere la casa, facendola assomigliare il più possibile a quella che è la sua visione di convivialità. Alberto Scavolini, un nome noto nello studio delle cucine, al Salone del mobile 2018 ha sostenuto che “la cucina è oggi quello che un tempo era il focolare domestico, perché da sempre è in cucina che ci incontriamo e ci raccogliamo con la famiglia e i nostri affetti più cari. In cucina ci sono ancora i ragazzi che fanno i compiti, ci si racconta la giornata appena terminata, si fanno quattro chiacchiere con gli amici. Insomma, è l’ambiente conviviale per eccellenza”.
Si cucina sempre meno, ma quando lo si fa si vuole farlo per stare bene, da soli o con gli altri. Tutti noi durante la settimana siamo presi dal lavoro e quando ci si ferma – soprattutto nel weekend – ci piace condividere questa abitudine che con gli altri diventa un vero e proprio momento magico. Non soltanto mangiare insieme, ma preparare insieme. È così che le cucine si stanno trasformando nella distribuzione degli spazi, proprio per adeguarsi a questa tendenza, per cucinare e bere qualcosa insieme.
Noi siciliani siamo forse un popolo particolare, a noi piace mangiare e mentre lo facciamo molto spesso parliamo di cibo e delle sue infinite declinazioni. I programmi tv che parlano di cucina ma anche di cibo, aldilà degli eccessi che sono sempre negativi in ogni campo, stanno in qualche modo aiutando le persone ad evolvere la propria cucina. Gli chef che quasi ogni giorno danno consigli su preparazioni e cotture rendono queste pratiche quotidiano una vera e propria passione. C’è chi ama la tradizione e chi l’innovazione, la domotica sta facendo comunque molti passi avanti: gli elettrodomestici intelligenti sono una tendenza in salita e possiamo già dialogare con loro attraverso numerose app (che, se al momento sono optional concentrati in una fascia alta di elettrodomestico, come per tutte le innovazioni, è solo una questione di tempo).
In ogni caso la cucina comunica sempre di più con l’ambiente living: si apre ma allo stesso tempo nasconde le sue peculiarità più tipiche, come ad esempio il piano cottura o il lavello con ante e mobili-armadio; ciò che si vede, quando non la si usa, è un elemento fortemente d’arredo che non stona per nulla con il resto dei mobili del living. Una sorta di scena che nasconde la parte più funzionale, senza ridurre la bellezza del mobile, anzi aumentandone l’estetica.
In questo momento storico il cibo è il vero protagonista, anche nella sperimentazione di preparazioni sempre nuove; pensiamo alla cottura lenta, sottovuoto, alle affumicature. E’ ovvio che si sia creato un filo logico che unisce la passione alla progettazione della cucina come spazio. Si può cucinare in maniera professionale anche tra le mura domestiche, per questo iniziano a diffondersi strumenti come l’abbattitore, il sottovuoto, la cottura a vapore che permettono di apprezzare una cucina più evoluta ed elaborata anche a casa propria. Certo, non tutti possono usufruire di spazi adeguati alle nuove esigenze; in realtà però, se gli elettrodomestici hanno dimensioni standard, è il frigorifero quello che tende ad aumentare maggiormente di dimensione, anche per un modo diverso di conservare i prodotti e di una frequenza sempre più larga del fare la spesa. Da non sottovalutare la sostenibilità: le aziende produttrici hanno un approccio fortemente green sia in relazione agli elettrodomestici che hanno dei livelli di consumo sempre più bassi e controllati, che ai mobili della cucina che provengono spesso da una rielaborazione degli scarti del legno, con cui vengono creati pannelli che allungano di moltissimi anni il ciclo di vita del legname.
Nonostante sembri una nuova consapevolezza, il legame tra cibo e conoscenza è antico quanto il mondo, conoscenza delle materie prime, sentimento della qualità, educazione al gusto: nel cibo si sono create e formate identità, attraverso il cibo avviene l’incontro tra culture diverse che possono entrare in dialogo e interagire. Il parallelo tra attività letteraria e gastronomia è presente in tutta la storia della letteratura, alcuni scrittori si sono cimentati ad imbandire cene mimando stili letterari: è il caso di Cattaneo che preparò una cena in cui armonizzò ideali romantici e classici. I piatti classici erano quelli privi di decorazioni, un piatto omerico indicava un cibo selvaggio, ovvero ricette di carne, mentre i piatti romantici erano più artefatti o legati a tradizioni locali. Poeti e letterati avvertono oggi come ieri la vicinanza della propria attività letteraria a quella gastronomica, si percepiscono talora come cuochi che impastano i versi, ma più spesso come lo scalco, ovvero chi amministra il banchetto, decide in quale ordine porre le vivande, come presentare i cibi, come allestire la tavola. Un esempio banale ma efficace è quello del latino maccheronico. Il termine maccheronico si suppone provenga da “maccherone” che nel Medioevo designava gli gnocchi, un impasto grossolano e popolare, oppure da “macco”, una polenta di fave sminuzzate, sempre un impasto, sempre un piatto povero. Un tipo di piatto dunque non raffinato né ricco, così come il latino maccheronico vuole porsi: un linguaggio basso, non elaborato, vicino al mondo popolare. Il procedimento per ottenere tale tipo di linguaggio mima il modo di preparare i maccheroni e la polenta: un grezzo impasto di materiali non nobili, un amalgamare elementi eterogenei sino a creare un ammasso corpulento, così come la lingua maccheronica, che mescola elementi linguistici lontani e diversi per ottenere un effetto stilistico roboante.
L’allestimento del banchetto mostra una natura fondamentalmente teatrale: riguarda non solo il tipo di vivande da preparare e la loro successione ma tutta una serie di apparati scenici alieni dal semplice cibo. Le stesse decorazioni della tavola e i gesti legati alla presentazione del cibo spesso non hanno alcun riferimento all’atto del consumo. L’arte dell’apparecchiare segue modalità espressive di tipo letterario, la sequenza dei menu è assimilabile alle modalità della retorica classica. Lo stesso mitico Brillat Savarin, nella sua “Fisiologia del gusto” distingue tra il piacere del mangiare e il piacere della tavola, come si può leggere nel seguente passo: “Il piacere del mangiare è la sensazione attuale e diretta di un bisogno che si soddisfa. Il piacere della tavola è la sensazione riflessa che nasce da diverse circostanze di fatti, di luoghi, di cose e di persone che accompagnano il pasto”. Ne “Il piacere” di D’Annunzio il lettore si imbatte in momenti conviviali; l’autore non si sofferma mai sul contenuto dei piatti, che lascia all’immaginazione del lettore, ma descrive gli arredi e l’oggettistica da tavola: gli arredi e gli oggetti, grazie alla loro preziosità e ricercatezza, creano l’atmosfera elegante ed estetizzante del romanzo. L’ornamento nel romanzo dannunziano ha il compito di amplificare e catturare la bellezza ricercata, si inserisce nel tessuto narrativo creando pause, introducendo personaggi, dispiegando tutto il suo potere incantatorio. Proprio come nei testi che si occupano dell’imbandigione, gli arredi della tavola in D’Annunzio sono protagonisti assoluti ed annullano il cibo, che scompare dalla scena narrativa, esattamente come nei banchetti antichi la nutrizione era oscurata dall’apparato cerimoniale.
Nella contemporaneità, l’apparato scenico muta registro e lo chef non intende più trasformare i cibi. La cucina non è più vista come artificio ma oggi si cerca il più possibile di avvicinarsi alla Natura e di rispettare la materia prima. La decorazione stessa ha lo scopo di esaltare e mostrare scopertamente l’essenza della materia prima. Marchesi descrive così la nascita di nuove esigenze culinarie: “durante gli anni Settanta (…) da parte dei consumatori andò sviluppandosi una nuova coscienza alimentare. Era sempre più sentita l’esigenza di cibi sani e ingredienti di qualità. Il cibo cioè doveva nutrire, ma in modo salutare. (…) Sempre in quegli anni ai piatti monumentali (i grandi arrosti, i bolliti misti) che avevano caratterizzato i pranzi importanti del dopoguerra, si cominciò a preferire preparazioni più leggere, maggiormente raffinate”. E continua: “negli anni Sessanta noi in cucina percepivamo che questo successo era semplicemente dovuto alla qualità e al rispetto della materia prima impiegata, all’accostamento non casuale né banale delle forme e dei colori, alla raffinatezza e all’armonia della presentazione, al nostro buon gusto”.
Eppure la cucina odierna, nonostante persegua la semplicità, tenda ad alleggerire i piatti e sia improntata al minimalismo, non dimentica la sua vocazione retorica. Il cibo rimane sempre un messaggio, e lo chef comunica, tramite i suoi piatti, con il fruitore. Gualtiero Marchesi parla di teatro della cucina riferendosi alla contemporaneità: “Quanto sto scrivendo è valido per la maggior parte delle attività culturali: infatti la cucina, attenta, ponderata, “colta”, sa dialogare con altre espressioni culturali perché è essa stessa cultura. Ciò spiega perché il ristorante assume sempre più spesso un ruolo simile a quello tradizionalmente svolto dal teatro o da una galleria d’arte. In questi si assiste ad un concerto, a una pièce, oppure si osserva una mostra pittorica; al ristorante di livello si partecipa alla rappresentazione del cibo che viene prima ammirato per la complessità cromatica, l’equilibrio dei volumi, la disposizione degli ingredienti e poi assaggiato per poter godere dell’armonia degli aromi e dei sapori.
Sarà da questo arricchimento contemporaneo della cultura del cibo in tutte le sue accezioni che nascono sempre più spesso ambienti specialissimi che vanno dal ristorante “La biblioteca Gourmande” a Barcellona, in Spagna, all’”Osteria del Buonconvento”, a Sorrento dove si pranza e si cena nella incredibile “Sala Tasso”, circondati da libri e documenti unici?