Cucinare alla “provenzale”, una declinazione mediterranea della cucina francese

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Per secoli l’immagine della Francia è stata associata, per via della sua capitale, Parigi, a una tavola lussuosa, secondo una visione univoca che ancora prevale in buona misura tra gli intenditori stranieri, e che a lungo è prevalsa presso gli stessi francesi, ricchi o poveri che fossero. Niente di più falso: l’universo gastronomico francese è ben altro che uniforme, e lussuoso.

Sono rari i paesi che nel corso dei secoli hanno mostrato una creatività simile a a quella francese in materia di cucina, e soprattutto che abbiano sviluppato un simile spirito di eccellenza riguardo al vino. E ancora più rare sono le società in generale che abbiano mostrato una simile attitudine volta a esaltare la sensualità gustativa.

Questa grandezza è stata creata da interpreti eccelsi: dapprima i cuochi di corte e dell’aristocrazia della Parigi del XVI secolo, poi artisti appassionati e geni del gusto come Vatel. In seguito, con l’invenzione del ristorante, si affermarono cuochi “mediatici” quali Careme, Escoffier o Dubois. La haute cousine delle ricette altisonanti venne poi rivoluzionata da Paul Bocuse prima di sfociare nella nouvelle cousine.

Oggi la cucina francese tende a rivalutare tutte le varie cucine locali, ricche di sapori e di umori, radicate nei sani costumi contadini che si basano su genuini prodotti locali e persino nei momenti peggiori, vale a dire di maggior successo dell’alimentazione industriale, l’alsaziano non ha mai mangiato esattamente come il provenzale, né il bretone come il guascone, e nemmeno il savoiardo come il normanno, un po’ come accade nelle regioni italiane. Le identità alimentari hanno resistito all’invasione del prêt a manger, il cibo già pronto, adattandolo al loro temperamento e alla loro sensibilità gustativa, formatasi nei corso di secoli di storie parallele. Gli eccessi della globalizzazione hanno addirittura provocato il risveglio delle identità regionali, ridando smalto al blasone dei prodotti del territorio. La semplicità è tornata a essere un valore culinario, quale espressione di schiettezza e di autenticità. Delle centinaia di ricette bastino alcune tipiche preparazioni: le tradizionali salse, i tanti squisiti soufflés dolci e salati, gli straordinari dolci, i gateaux ai frutti e alle crème, e i raffinati potages (minestre) nei quali si esprime tutta la delicatezza d’oltralpe.

Se dalle coste della Normandia ci giungono effluvi di aringa grigliata, dalle coste mediterranee arrivano profumi di casa nostra, quelli dell’acciuga, del merluzzo, dell’aglio e del basilico, quelli dei frutti e delle verdure del sole, le olive e le erbe aromatiche (timo, alloro, rosmarino, santoreggia, anice, menta, salvia, basilico) che costituiscono la cucina provenzale, tanto simile in fondo a quella siciliana. Sapiente mescolanza di aromi e di sapori decisi che rivela tutta la nobiltà dei semplici prodotti dell’orto: pomodori, peperoni, melanzane e vari tipi di zucchine. È la formula vincente della ratatouille di Nizza, che ha conquistato l’intera Francia dopo avere trionfato su tutte le tavole della Provenza. Aperta sul Mediterraneo, la Provenza ha anche sviluppato una cucina di pesce il cui piatto più celebre resta la bouillabaisse marsigliese, zuppa di pesce rialzata con una salsa di peperoncino e zafferano detta «rouille» (letteralmente «ruggine»).

Quanto al registro gastronomico, le insegne più conosciute rimangono quelle della cucina lionese, sostenute con talento da una dinastia di grandi cuoche che si sono succedute ai fornelli dei ristoranti della città e delle locande della regione per tutto il secolo XX. Queste donne sono rimaste nella leggenda della buona tavola francese con il soprannome affettuoso di «mères lyonnaises», donne intelligenti e piene di carattere che possedevano un repertorio di piatti limitato ma che sapevano interpretare alla perfezione.

Non tutte le regioni della Francia possono vantare la stessa reputazione nel campo della gastronomia, ma non ce n’è nessuna che non abbia dato vita a qualche specialità che non si possa degustare se non in loco, come l’aioli provenzale, ad esempio, aglio ridotto in pasta e montato con l’olio d’oliva sino a raggiungere la consistenza della maionese. Volessimo assaggiare la cucina provenzale più buona e più vicina alla nostra dovremmo raggiungere Saint-Rémy, il luogo migliore dove fare una spesa gourmet. Se ci capitassimo di mercoledì poi non potremmo perderci il mercato: si trovano tutti gli ingredienti della cucina provenzale, declinazione mediterranea perfetta della cucina francese. Il villaggio è la quintessenza della regione: sole, sapori, profumi e una lentezza tutta mediterranea, paesaggi che fanno parte dell’immaginario collettivo perché hanno ispirato Vincent van Gogh che qui a Saint-Rémy si fece ricoverare volontariamente nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole e dipinse 150 quadri: la luce, gli alberi, gli iris, le notti stellate, Les Alpilles (piccoli rilievi rocciosi) colpirono la sua immaginazione, e oggi le sue pennellate violente e piene di folle energia sono visibili particolarmente in queste riproduzioni.

In Provenza niente salse, niente burro, ma tanto pesce e le mitiche ricette vegetali come la ratatouille (verdura stufata), la tapenade (olive, acciughe e capperi) e l’aioli (aglio e olio). Al mercato non si possono perdere le olive con mille condimenti diversi: alle erbe provenzali, al peperoncino, all’aglio, agli agrumi, o il formaggio di capra che, insieme a un bicchiere di Côtes-du-Rhône costituiscono il migliore dei picnic, magari da consumare vicino alle rovine dell’antica Glanum. Il tutto da abbinare con l’ottimo pane locale. Ma la Provenza vuol dire anche erbe, spezie e soprattutto sale, come quello pregiatissimo della Camargue. Per fare acquisti il posto giusto è Entre Sel et Terre; per salsicce e affini basta raggiungere, nella piazza del Comune, la boucherie (macelleria) locale dal fascino rétro che vende toro della Camargue, agnello di Provenza e pollame di Gers. E i dolci? A Saint-Rémy l’offerta è eccellente, a partire dal mastro cioccolataio Joël Durand che offre nella sua elegante bottega praline al timo, al pepe o al fleur de sal. E poi, da non perdere, Mon père était pâtissier, con croissant, meraviglie di crema e cioccolata e strepitose tortine salate al carciofo violetto, alla melanzana, ai peperoni dolci o all’aglio confit.

La ricetta della Bouillabaisse provenzale è una di quelle che piace di più a noi isolani essendo la variante francese di una zuppa di pesce mediterraneo. Il nome “bouillabaisse” pare derivi da “boullir” (bollire) e abaisser (abbassare), perché la vivanda deve essere cucinata a fuoco molto forte, ma ritirata subito dopo che ha preso bollore. La bouillabaisse ha infinite varianti, ma l’aragosta, i crostacei e i pesci fini sono un’aggiunta di quando il piatto sbarcò a Parigi nel 1789, iscritto nel menù del ristorante “Les Trois Frères Provencaux”. I marsigliesi che, storici pescatori, di questa ricetta ne preparano una delle più buone e note, sono così fieri della loro zuppa che nel 1980 hanno depositato il brevetto della ricetta originale, per difenderne l’autenticità.

La bouillabaisse, nato come piatto povero fatto sulla spiaggia dai pescatori con i pesci meno pregiati della pesca, oggi vede quindi entrare un’ampia varietà di esemplari e fra questi uno scorfano, parecchi pesci di carni sode, alcuni con carni delicate.

Ricetta Bouillabaisse provenzale

Ingredienti:

1 scorfano

2 orate

300 g di totani già puliti

4 seppie pulite

400 g di scampi

500 g di cozze

500 g di vongole

4 pomodori

2 patate

2 cipolle

1 gambo di sedano

1 carota

150 ml di vino bianco

1 spicchio d’aglio

3 rametti di prezzemolo

Olio extravergine d’oliva

Sale

Preparazione:

Per prima cosa pulite le cozze e le vongole: raschiate il guscio delle cozze con un coltellino o con una spugnetta metallica ed eliminate il bisso, sciacquatele sotto l’acqua corrente ed eliminate le cozze già aperte. Fate spurgare le cozze in acqua e sale per almeno 2 ore (anche se l’ideale sarebbe una notte), cambiando l’acqua ogni mezz’ora. Tagliate a pezzettini piccoli una cipolla, il sedano e la carota, dopo averli accuratamente puliti.

Metteteli in una pentola, unite 1 litro e ½ d’acqua e le teste dello scorfano e delle orate. Salate e fate cuocere a fiamma bassissima per mezz’ora.

Filtrate il brodo ottenuto attraverso un colino a maglie fini e passate nel passaverdure le teste dei pesci, in modo da ottenere una polpa liscia e omogenea.

Tritate finemente la cipolla rimasta con l’aglio e fateli rosolare in una casseruola capiente con tre cucchiai di olio.

Unite i totani e le seppie lavati e tagliati a pezzi, salateli e bagnateli con il vino. Fateli cuocere a fiamma bassissima per 30 minuti.

Tagliate a pezzi i pesci rimasti (scorfano e orate) e uniteli nella casseruola.

Lavate i pomodori e tagliateli a pezzi, mentre le patate sbucciatele e tagliatele a fette sottili. Incorporateli ai pesci, salate e aggiungete la polpa e il brodo di pesce.

Fate cuocere a fiamma bassa per circa 35 minuti, dopodiché unite gli scampi, le vongole, le cozze e proseguite la cottura per 10-15 minuti.

Completate con il prezzemolo sminuzzato e servite in tavola.

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