Fra le formule che via via vengono sciorinate per la composizione del nuovo governo ce n’è una che sembra godere del favore di una parte cospicua del parlamento nazionale, il governo di minoranza. L’ha proposto, inascoltato, Silvio Berlusconi, a lungo. E’ stato necessario che le prove di alleanza fra M5S e Centrodestra si concludessero con un nulla di fatto perché il governo di minoranza ottenesse credito, rebus sic stantibus.
Luigi Di Maio non vuole Forza Italia nel governo, meno che mai uomini di Berlusconi. Matteo Salvini non vuole alleanze con il Pd. E il Pd non vuole alleanze con i vincitori, perché spetta a loro governare.
La formula – governo di minoranza – costituisce una alternativa ai veti incrociasti? Dal punto di vista costituzionale non lo è. Il governo deve ottenere la fiducia della maggioranza in Parlamento. Se non ce l’ha, deve rassegnare le dimissioni. I precedenti, tuttavia, non mancano. Espedienti: i governi di minoranza hanno avuto breve durata e sono serviti a traghettare la nave verso un approdo sicuro. O governi balneari e di fine legislatura, sprovvisti di maggioranza e tuttavia perfettamente legittimi.
Com’è possibile? Il Capo dello Stato nomina il Presidente del Consiglio e i membri del governo su proposta del premier, il Parlamento mette il bollo con la fiducia. Ma fino a che la fiducia non arriva il governo nominato resta in carica e svolge regolarmente le sue funzioni.
Ciò che propone Berlusconi, e Giorgia Meloni è d’accordo con lui, è ben altro. Vuole far nascere un governo di minoranza che possa rastrellare voti in Parlamento, di volta in volta. Buttarlo a mare senza sapere nuotare. Facendo ciò che a lui riuscì allorquando fu abbandonato da Gianfranco Fini. Ma una cosa è fare shopping in corso d’opera, assicurandosi il voto di cani sciolti e parlamentari disposti al salto della quaglia, ed un’altra “incardinare” una formula, che non ha alcuna base costituzionale per mancanza di maggioranza sin dalla nascita. addirittura ad inizio legislatura. Un parto innaturale, senza paternità. In vitro, dunque.
Difficilmente Sergio Mattarella potrebbe accontentare il Cavaliere, il quale sa bene che la sua proposta impone un passaggio stretto, ma è vincolato dal bisogno di mantenere compatta la coalizione,lasciando a Salvini il ruolo di Presidente del consiglio in pectore.
Se Mattarella dovesse accettare la proposta di Berlusconi ed affidare così a Salvini l’incarico di formare il governo, sarebbe proprio il leader della Lega a rischiare di più, cavalcando la tigre del trasformismo. Quanto spazio avrebbe un governo siffatto e quale credito potrebbe avere? Quali strumenti riuscirebbe a mettere in campo? Su quali alleanze, esterne al Parlamento, potrebbe contare?
Di Maio, all’indomani della “chiusura” di Renzi al governo con il M5S, ha suggerito a Salvini di suggerire, insieme, al Quirinale, il ritorno alle urne. Con quale prospettiva? E’ vero che Di Maio così facendo passa il cerino ad altri, ma nel caso di bis – assai probabile – del risultato elettorale, si tornerebbe allo start up, come nel gioco dell’oca.
Ecco perché l’idea di un governo costituente, come estrema ratio, intravisto da Matteo Renzi nel corso dell’intervista di Fazio, possiede qualche margine di successo, esperiti tutti gli altri tentativi. Renzi vorrebbe che si tornasse a discutere sul cambiamento delle regole, partendo dalla considerazione che quelle in atto lasciano il Paese in braghe di tela. Proporzionale e tripartitismo non vanno d’accordo, com’è provato, non solo in Italia.
Una considerazione finale: il governo costituente di Renzi e il governo del Presidente, evocato da Silvio Berlusconi più volte, si sovrapporrebbero. Questa soluzione ha un handicap grave, è perorata dai due partiti che hanno perso le elezioni, il Pd e FI.