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(Da FB) Il PD la via d’uscita per dare all’Italia una maggioranza dopo le elezioni e un parlamento rappresentativo e decidente, l’aveva trovata e proposta su un piatto d’argento. Ora quelli che hanno rifiutato per un’ancestrale paura questi cambiamenti, siano essi partiti o parti della cosiddetta società civile, che sapevano, così ci avevano detto, quale altra strada intraprendere in alternativa, non sanno neppure dove stanno di casa e come si chiamano. E guardano al PD, alle politiche dei democratici, che non possono che essere quelle degli ultimi cinque anni. Ossia la migliore legislatura che questo paese ha avuto dalla fine della prima repubblica.
La politica, come propaganda e azione collettiva, non la prescrive il medico. La prossima volta, ma è un auspicio vano perché questa parte d’Italia si mette in moto ogni volta che si vuole mutare qualcosa, per favore risparmiateci vaniloqui e perdite di tempo. Nel frattempo il PD, con l’unico leader che ha in campo, sul quale invece di darsele tafazzianamente sui cosiddetti, tutto il centrosinistra avrebbe dovuto da tempo e dovrebbe ancora investire, da ieri torna a parlare di politica. E lo fa ripartendo dal 4 dicembre 2016.
Questo è un paese che uscirà dal labirinto se sarà in grado, malgrado gli spaventati del presepio, di modificare l’assetto istituzionale del parlamento con l’aggiunta di una legge elettorale maggioritaria. Grazie alle quale chi governa non si decide confusamente dopo tre o quattro mesi, scomodando i due forni degli anni sessanta, sai che modernità, ma lo stabilisce la sera stessa delle elezioni il corpo elettorale. Il balletto andato avanti dalla notte del quattro marzo si è infranto non sul no di qualcuno. Ma sugli scogli della politica.
Non so se questo vocabolo è capace di evocare in voi particolari ricordi. E, come vedete, quando si riparla di politica, il PD torna a guidare, abbia il 32, il 25 o il 18 per cento, quella italiana. Renzi non ha detto un no ma almeno due sì (un biennio di legislatura con riforme e alcune linee di governo sulle cose più urgenti) e ha fornito al Quirinale una via d’uscita. Dopo, con regole chiare, il corpo elettorale deciderà veramente. Si chiama democrazia. E questa, se non vogliamo morire di noia, la prescrive il medico. Nel frattempo le elezioni friulane ci fanno capire che il centrosinistra può dire ancora la sua. Se la smette di attaccarsi al primo palo di governo che trova e se ritrova le ragioni, e sono tante, ideali e programmatiche, di un percorso comune.
Il voto ai pentastellati è, come ci dicono le elezioni in Friuli, volatile, quello del centrodestra legato ad una coalizione tenuta insieme da poche ragioni comuni. Il centrosinistra, se la finisse di combattere molto se stesso e poco gli avversari, sport in cui è stato sinora imbattibile, avrebbe davanti un campo non largo, ma larghissimo. Anche perché le parti contrapposte sembrano più confuse che persuase rispetto a ciò che sanno e vogliono fare per l’Italia.
La strada da percorrere è sempre la stessa. Quella del riformismo italiano, che guarda al centro e alla sinistra più estrema. Quest’ultima, come hanno mostrato le elezioni di marzo e il silenzio odierno, ha numeri tali ormai, altro che due cifre, da non poter spostare neppure una sedia. Attaccando e demolendo da una presunta sinistra dura e pura il riformismo italiano, dovrebbe ormai essere chiaro da decenni, si trova solo e soltanto la destra.
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