I parlamentari hanno bisogno di essere aiutati a fare il loro lavoro. E questo è un fatto incontrovertibile, che la demagogia e il populismo hanno trasformato in uno strumento, ancora uno, di clientela. Non tirandoli fuori dal proprio portafogli, insomma, i parlamentari siciliani, secondo la voce comune, non avrebbero alcun rispetto per risorse cui i cittadini contribuiscono, teoricamente, ognuno secondo le loro possibilità.
Alcune circostanze hanno contribuito a determinare il grave distorcimento della realtà: la contrapposizione fra stabilizzati e nuovi assistenti, l’idea bizzarra di frammentare le risorse concesse ai deputati (dividendo il compenso assegnato ad ogni deputato, circa 60 mila euro anno, a più soggetti), la stipula di contratti-colf, la scelta di amici e parenti in luogo di esperti, la stessa l’espressione “portaborse”(nata da un film di Nanni Moretti) consegnata “per sempre” a quei pochi professionisti che sono in grado di aiutare i deputati ecc.
La cosa più vile di tutte è la derubricazione di una professionalità: giovani e meno giovani chiamati a fare ricerche impegnative e scrivere disegni di legge o atti ispettivi, sono marchiati come “portaborse”. Ma c’è anche la qualità del lavoro che viene loro richiesto: la formulazione di comunicati stampa ripetitivi e di alcun valore che spesso hanno il compito, unico, di incensare l’interessato per la sua attività parlamentare. Un lavoro frustrante ed avvilente, che mortifica competenze e intelligenze.
Ma non è tutto: la creazione degli stabilizzati – fine del precariato degli assistenti parlamentari – ha provocato alcune conseguenze, una delle quali, la più grave, il venir meno del rapporto fiduciario fra assistente parlamentare, precario o meno, ed il suo datore di lavoro, sia esso il singolo deputato quanto il gruppo parlamentare. Ogni legislatura modifica la geografia parlamentare capita perciò che gli stabilizzati siano costretti a fare tappezzeria. Restino cioè senza lavoro.
La Corte dei Conti ha bacchettato i gruppi, a cominciare dal M5S, che predicano bene e razzolano male a causa. E c’è il rischio che nasca una contrapposizione fra stabilizzati e nuovi precari dell’Ars. I primi, una ottantina, hanno di fatto ruoli assimilabili ai dipendenti dell’Ars, essendo loro richiesta la terzietà dell’apparato servente. Scelti come professionisti di fiducia, sono chiamati a svolgere con dedizione il loro lavoro ovunque sia richiesto con compensi molto più modesti di quelli attribuiti ai dipendenti Ars (consiglieri parlamentari). Le distorsioni sono tante e tutte provocate da una serie infinita di provvedimenti e determinazioni decise nel tempo dal Consiglio di Presidenza, provvedimenti che avevano in passato valore di legge grazie all’autodiochia (sovranità amministrativa), oggi inesistente.
Il M5S è protagonista, assieme con il Presidente dell’Ars, di un’aspra querelle sull’argomento. I deputati pentastellati hanno voluto nuovi assistenti, e tutti di loro fiducia, istanza legittima, che però li designa come principali assertori di una metastesi, “tumore” di ogni amministrazione pubblica, la crescita esponenziale di dipendenti.
Il Presidente dell’Ars Miccichè tutela gli interessi degli stabilizzati, nominati nella “seconda Repubblica”, mentre i penta stellati tutelano persone di fiducia, facce nuove in linea con la terza repubblica. Un pasticciaccio, un cul de sac, dentro il quale l’ARS si è cacciata a causa di scelte improvvide.