‘Siamo consapevoli che si tratta di una battaglia impari, perchè ci stiamo scontrando con dei poteri così forti che è difficile spuntarla. Ci sentiamo come Davide e Golia, dove però spesso è Golia ad avere la meglio, ma non molliamo…”.
Giambattista Scirè, classe ’75, siciliano di Vittoria, è un ricercatore universitario di Storia contemporanea e come tanti suoi colleghi, per lo più giovani, vive da precario pur avendo regolarmente vinto un bando di concorso, in questo caso all’ateneo di Catania per la sede di Lingue di Ragusa.
Il 10 novembre del 2017 ha fondato a Roma con un gruppo di studiosi l’associazione non-profit dall’acronimo evocativo ‘Tra-me’, ovvero ‘Trasparenza e merito. L’Università che vogliamo’. In veste di portavoce nazionale Scirè combatte contro ogni forma di baronaggio, denunciando tutti gli accordi sottobanco e le irregolarità concorsuali. Nel corso degli ultimi anni, a partire soprattutto dal 2010, i casi di mala-università e gli episodi di corruzione tra le cattedre sono aumentati come dimostra la crescita esponenziale del numero di contenziosi, ricorsi e denunce alla giustizia amministrativa.
L’obiettivo dell’associazione (partita in 11, oggi ha superato i 170 iscritti, tra ricercatori e docenti), è “provare a frenare il ‘malcostume accademico’ e riformare il sistema di reclutamento universitario, ormai contaminato da procedure illegali”. La ”vera novità -assicura Scirè all’Adnkronos- è far conoscere all’opinione pubblica le violazioni della legge e gli abusi”. Da qui l’invito a tutti i partecipanti e i candidati a vincere l’omertà e la paura di veder penalizzata la propria carriera e di restare fuori dal giro che conta con una ”pubblica censura e condanna dei casi di malagestione dei concorsi, a tutela della ricerca e dei suoi protagonisti”.
Stanchi “dell’arroganza e della presunzione di impunità da parte di certa classe accademica, che partecipa alle commissioni di concorso”, i docenti che hanno aderito all’associazione chiedono di fare luce sulle ”tante irregolarità commesse”. A volte, addirittura, avverte Scirè, “le sentenze definitive, come è successo nel mio caso, non vengono eseguite regolarmente dagli atenei. Le commissioni dei concorsi, infatti, riescono con sponde di vario livello -mi riferisco anche al ministero della Pubblica istruzione- ad aggirare l’applicazione delle sentenze della giustizia amministrativa, Tar e Consiglio di Stato”.
“E’ veramente scandaloso -sottolinea- che quasi nella maggior parte delle procedure di valutazione l’elemento decisivo nella scelta del vincitore del bando non è legato alla produzione scientifica del candidato, ovvero titoli e pubblicazioni, ma avviene con un meccanismo di cooptazione e la meritocrazia va a farsi benedire… Le logiche sono altre, di scuola accademica, o peggio, per uno scambio di favori. Non si rendono conto che vengono utilizzati bandi e risorse pubbliche per interessi molto spesso personali e privati”.
La “riforma Gelmini del 2010, per alcuni versi, è stata positiva, perchè -spiega Scirè- è stato sicuramente più facile fare ricorsi e individuare i vizi formali nell’operato delle commissioni di concorso, ma più in generale, le cose sono peggiorate, soprattutto con l’introduzione della figura del ricercatore a tempo determinato, che ha fatto crescere le persone in ‘stand by’, aumentando di conseguenza la bellicosità tra gli aspiranti candidati, visto che i pochi posti banditi sono diventati ambitissimi”.
– Dal “baronaggio classico, quelle delle scuole accademiche -continua- si è passati al più recente baronaggio del nuovo millennio, quello ‘tecno-bibliometrico’: ovvero il procedimento dell’abilitazione scientifica, una sorta di patente per accedere agli scorrimenti di carriera a i bandi di concorso, che di fatto comporta una specie di regolamento di conti”. L’associazione vuole essere un di punto di riferimento e di ascolto per chiunque subisce un torto o un’ingiustizia per ”non lasciare solo” chi decide di intraprendere una battaglia contro “privilegi e impunità dei baroni” e ”l’utilizzo del meccanismo della cooptazione, mascherata da concorso pubblico, in molti casi irregolare, da parte delle commissioni sul reclutamento. La nostra è una battaglia nell’interesse della parte buona dell’università che svolge correttamente e onestamente il proprio lavoro. Negli atenei sono tanti quelli che fanno il loro dovere, ma per colpa di pochi viene infangato il nome dell’istituzione”.
Offriamo, dice Scirè, “supporto logistico-organizzativo”, “tramite pressione mediatica a chi non vede riconosciuti i propri diritti”. E se è necessario, “creiamo il contatto giusto con gli avvocati esperti in materia per una consulenza-assistenza legale”. In alcuni casi limitati e “particolarmente rappresentativi di palesi e ripetute irregolarità”, viene offerto “anche un supporto legale per suggerire le meno dispendiose e più efficaci iniziative da intraprendere per la risoluzione del contenzioso con l’ateneo, promuovendo, se serve, il crowdfunding”. (Vam/AdnKronos)