Manlio Sgalambro e il suo pensiero tagliente nel “Breve invito all’opera”

0
4
Condividi su Facebook
Tweet su Twitter


Want create site? Find Free WordPress Themes and plugins.

DI MARIA D’ASARO Si tratta di un testo per adulti maturi, sconsigliato per chi, deposto il paracadute di visioni religiose o ideologie consolatorie, non abbia sufficiente coraggio per accostarsi alla lama tagliente del pensiero – lucido e impietosamente pessimista – di Sgalambro. Davide Miccione, curatore del testo, e gli altri tre studiosi co-autori del volume, Cosimo Cucinotta, Salvatore Ivan D’Agostino e Giovanni Miraglia, ci presentano il filosofo di Lentini attraverso scorci significativi della sua opera intrigante e poliedrica, che mette in crisi tante nostre certezze, ma a cui non si può negare sapienza, acutezza e autenticità speculativa. Ai più conosciuto solo per il felice sodalizio col conterraneo Franco Battiato – per il quale ha scritto, tra gli altri, i testi de “L’ombrello e la macchina da cucire”, de “L’imboscata” e per cui ha curato il libretto dell’opera musicale in due atti “Il cavaliere dell’intelletto” (raccontata nella parte finale del saggio da Cosimo Cucinotta) – chi era davvero Manlio Sgalambro? “Qualcuno che poneva tra sé e il mondo (…) non la professione (non ne aveva), non la cattedra (…), non la laurea (mai conseguita). Solo la filosofia”: un vero filosofo dunque, testimonia Davide Miccione, che ha avuto il privilegio di essergli amico. Sgalambro, continua Miccione, è stato uno dei pochi filosofi italiani contemporanei non accademico: autodidatta, si è definito “chierico”, umile servo della verità filosofica, sforzandosi di eludere ogni legame con la sua dimensione biografica e localistica “per mantenersi in una sfera che gli assicurasse una genesi esclusivamente teoretica del suo pensiero”.

A cosa approda il pensiero di Sgalambro, che si esprime con una prosa scintillante e acuminata? A una visione dissacrante, anticonformistica e pessimistica della realtà, che ritiene fallaci le idee illuministiche di libertà, progresso, democrazia: “Tutte le cose su cui siamo abituati a fondare la convivenza tra uomini (…) dall’etica alla religione, dalla scuola alla democrazia, vengono da Sgalambro negate o radicalmente modificate o svuotate, fino a farle apparire meri involucri”. Di conseguenza: “l’idea di un’interazione forte e continua (…) con la società (…) sembra abbisognare di presupposti illuministi, democratici, progressisti che poco hanno a che vedere col suo pensiero.” Posizione chiaramente sintetizzata da Salvatore Ivan D’Agostino che, a proposito della filosofia di Sgalambro, parla di un “pessimismo misoteistico”, già delineato nella prima opera dell’autore “La morte del sole”: “Se conoscere vuol dire dare un nome alle cose, pensare pessimisticamente è pensare davvero”. C’è una sorta di verità empirica nel pessimismo; infatti: “Sgalambro punta tutto (o quasi) sul dato che la verità viene dall’esterno (…) tale verità non è un parere (…) bensì una conoscenza incontestabile”. “La conoscenza della fine termica del mondo (anche se fra cento miliardi di anni) … è il punto di vista privilegiato che la verità può consentire. (…) Non è che nulla abbia senso, bensì che il senso sia anche troppo e che sia negativo: tutto si distruggerà”. In conseguenza di tale oggettiva percezione del reale, la concezione del divino non può che essere ‘empia’ e negativa: “Il nome di Dio può essere usato solo per indicare i limiti del mondo, la morte e la distruzione”. L’estrema conseguenza di tale idea del divino è quindi il misoteismo, l’odio per Dio: “reazione emozionale alla sindrome di Stoccolma religiosa secondo la quale siamo costretti … ad amare l’essere (supposto) che ci tiene in miseria, ci fa soffrire ed alla fine immancabilmente ci uccide”. Chi sale e chi scende allora, tra i filosofi, nel ristretto Parnaso delineato da Sgalambro? Tranne Husserl, irrisi quasi tutti i pensatori del Novecento: Heidegger, Jonas, Gadamer, Habermas, Ernst Bloch, Hanna Arendt. Tra i filosofi meno recenti, stima imperitura per Spinoza e Schopenhauer.

Giovanni Miraglia, infine, tratteggia alcune costanti delle “stazioni impoetiche” del filosofo che, “come un uomo della Grecia arcaica”, non conosce steccati tra filosofia, scienza, musica e letteratura e fa dei suoi versi “un’acuminata arma di disvelamento intellettuale” per fustigare imposture e marcescenze del pensiero, col “basso continuo” di una severa ironia che aspira a togliere alla poesia ogni funzione salvifica.

Coraggio, allora: approfittiamo di questo libretto prezioso per misurarci con l’umanissimo, intrigante pensiero di Sgalambro che, se ci ricorda: “Si sa chi si è, da dove si viene e dove si va. Al postutto si è garantiti”, alla fine ci consola così: “Attraverso il dolore di vedere il mondo in un disordine mostruoso, si fa luce la gioia di sapere in ordine la propria mente.”

Did you find apk for android? You can find new Free Android Games and apps.


LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome:

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.