In certi periodi dell’anno, specie durante la stagione primaverile che risveglia in noi tutte una voglia strepitosa di viaggiare, può essere interessante la riscoperta di un libro non nuovissimo ma rimasto unico nel suo genere: “Io viaggio da sola”, di Maria Perosino (scrittrice purtroppo scomparsa a soli 52 anni), pubblicato da Einaudi, un manuale semiserio per viaggiatrici sorridenti e solitarie. L’autrice trae spunto dalle sue esperienze di vita e di viaggio per elaborare riflessioni e suggerimenti pratici, come quella volta in cui in un ristorante la stavano trattando con poca attenzione, per non dire maleducazione, e lei si è finta giornalista gastronomica con tanto di quaderno per appunti e penna. Facile intuire gli effetti. Perché, ci dice Maria: “La solitudine non è uno stato d’animo: è banalmente uno stato di famiglia da maneggiare con cura e allegria”.
Chi l’ha detto del resto che viaggiare senza accompagnatori è triste? Bastano alcuni accorgimenti, una buona predisposizione d’animo, senso dell’umorismo e tanta voglia di mettersi in gioco. Il segreto? Per Maria Perosino “fare amicizia coi luoghi”.
È meglio mangiare le ostriche in due invece che da soli, ma non mangiarle del tutto è ancora peggio. Una piccola grande verità che Maria Perosino ha trasformato in una regola di vita: «Mi sono trovata a dover viaggiare spesso da sola per questioni personali e professionali e, a un certo punto, ho deciso di condividere la mia esperienza», racconta e prosegue “ho mescolato una guida al viaggio da sola, alla mia geografia emotiva elaborata nel corso di anni ed esperienze”. In effetti i consigli pratici non mancano nel libro e nemmeno le considerazioni più puntuali. Prima fra tutte non avere l’ansia di apparire “sfigate”, ma elaborare la paura di essere sole senza per questo bloccarsi. “In Italia l’abitudine delle donne a viaggiare sole non è ancora molto diffusa e, fino a qualche anno fa, non ne avresti incontrata nessuna in un ristorante. Non che non si muovessero, ma di certo preferivano comprare un panino e mangiarlo in albergo. Ora le cose stanno un po’ cambiando e ci sono in giro molte donne ben più sicure”, afferma. Una tecnica per evitare l’effetto spaesamento è quella che l’autrice definisce “fare casetta” ovvero creare un proprio percorso di abitudinarietà: dal bar all’edicola, dove comunque è possibile dare e ricevere un po’ di attenzioni. “Fare amicizia con le città e con chi le abita stando pronte a cogliere ogni cosa. Per non avere mai rimpianti e poter sempre dire: ne è valsa la pena”, sintetizza.
“Non esiste ricetta per mettere radici ovunque e sentirsi bene in ogni hotel, stazione, banchina, panchina”. Maria Perosino c’insegna in qualche modo ad addomesticare l’altrove e a portarcelo a casa, per farlo ci suggerisce di allenarci tutti i santi giorni, strappando sorrisi alla fatica, cercando leggerezza in gambe gonfie e piedi stanchi di camminare.
Molto interessante l’idea di un libro che racconta il viaggio femminile fatto in solitudine che, se è piuttosto raro ancora, rimane il più agognato (anche se suona tuttora come una piccola follia la decisione di prendersi del tempo per sé e partire da sole, sopratutto se si è donne).
“Viaggiare da sole è stranamente bello, ma bisogna un po’ imparare a farlo. Viaggiare da sole, me ne sono accorta rileggendo la mia vita a ritroso, significa non tanto imparare a convivere con la solitudine e a cavarsela in occasioni non sempre prevedibili. Significa soprattutto imparare a fare amicizia con i luoghi in cui capita di trovarsi, per scelta, per lavoro, per fuga…E con quello che questi luoghi si tengono dentro.”
All’origine della sua scelta, almeno inizialmente, un grande dolore che comprensibilmente le cambia la vita. Questa la prima spinta che la porta a viaggiare per le città, imparando a cavarsela da sola, per liberarsi dalla malinconia e dalla sofferenza. Il tono, come dichiarato nel prologo, dalla stessa autrice è confidenziale: “Questo libro racconta la mia, di storia, e vorrei che leggerlo fosse un po’ come fare una chiacchierata tra compagne di viaggio. È scritto per le donne, ma non è vietato agli uomini.”
Le regole fondamentali della viaggiatrice solitaria non sono complesse e non implicano, come ci si potrebbe immaginare, i massimi sistemi dell’esistenza, tutt’altro. Spesso è molto più importante saper scegliere un ristorante o un albergo, sapersi difendere dalla maleducazione di un ristoratore poco attento, saper fare una valigia che sia trasportabile, saper affrontare i problemi più pratici di un viaggio: come quello di far passare il tempo del viaggio stesso. Intelligenza, curiosità ed energia è questo che mi ha trasmesso l’idea di questo libro, oltre ad una gran voglia di partire”.
Maria Perosino è stata una storica dell’arte e si è occupata di curare mostre e di ideare e gestire iniziative culturali. Oltre a Io viaggio da sola, ha curato i cataloghi delle mostre di Lorenzo Mattotti “La fabbrica di Pinocchio”, per Nuages, e “ABC e altri giochi”, di Bruno Munari per Felici Editore.
Dentro “Io viaggio da sola” c’è la storia di una donna la cui vita ha sterzato all’improvviso, probabilmente per questa ragione è stato concepito come un kit di sopravvivenza per cavarsela da sole, tra alberghi, treni, piazze deserte, amici, amori e agguati di malinconia. Una guida comunque gioiosa, eccentrica, ricca di consigli pratici ed esistenziali, che a leggerlo fa bene al cuore e al cervello perché mescola con naturalezza intelligenza e ironia, raccontato come se fosse un modo di prolungare una sorta di chiacchierata con le amiche, usando il viaggio per dire qualcosa di se stessi.
“Ho sempre pensato che gli unici effetti collaterali del nascere donna siano il potersi avvalere delle toilette per signora e il fatto che facciamo molta più fatica degli uomini a issare il trolley sul treno. Però ho gli occhi per vedere, e vedo che spesso le mie compagne di viaggio si portano nel bagaglio a mano una timidezza che ha radici lontane, che a volte avrei voglia di estirpare a forza”.
La cosa più importante che s’impara viaggiando da sole, ci racconta Maria Perosino è che quando si è da soli si ha bisogno dell’affetto degli altri e dell’affetto dei luoghi. E che per ottenerli, non vale la strategia del mugugno. Tenersi un sorriso a portata di mano e cercare di sedurli è molto più efficace; soprattutto è importante dimenticarsi di essere una donna che viaggia da sola.
Le pagine di “Io viaggio da sola” sono un corso di autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale intemperante. Soprattutto sono vive, effervescenti, e, come capita per ogni buon libro, fanno meglio di una seduta dall’analista. Fanno quello che farebbe una cara amica. Se sei giù, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Se sei incline a guardarti l’ombelico, ti fanno venire il sospetto che là fuori, in mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte importante della partita. Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei luoghi in cui capita di trovarsi per scelta, per lavoro, per fuga. Significa scegliere l’albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi. Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul guardando il Bosforo. E a poco a poco, grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di questo libro trasmettono un’energia davvero contagiosa, spingono a partire anche da fermi.
“Viaggiare da sole, me ne sono accorta rileggendo la mia vita a ritroso, significa, credetemi, non investire i massimi sistemi, non implicare domande tipo chi sono, dove vado, da dove vengo. Implica domande più normali: cosa mangio stasera? e dove? cosa metto in valigia, visto che la suddetta valigia devo trascinarmela in giro senza braccia maschili di supporto? Come passo il tempo in treno? Come do una lezione a un oste arrogante? E poi, sempre e soprattutto, come fare in modo che quest’esperienza, che è insieme esperienza di viaggio e di vita, non sia un ripiego, ma sia capace di regalare la stessa fragranza che siamo abituate ad attribuire alle cose che ci succedono, o vogliamo che ci succedano? A volte noi donne ci dimentichiamo le istruzioni per l’uso dell’intelligenza, dell’astuzia, della simpatia”.