“Il caso Tancredi” del marsalese Girgenti

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Tra i generi letterari, il romanzo storico ha goduto e continua a godere nel nostro Paese di particolare fortuna. Basti pensare, per limitarci a pochi esempi, a capolavori come I promessi sposi o, per restare in Sicilia, Il gattopardo e I vicerè.

Il romanzo storico fa leva non solo sull’ambientazione delle vicende oggetto di narrazione in una epoca specifica (se si trattasse unicamente di ciò, tutti i romanzi potrebbero definirsi storici), ma soprattutto sulla rappresentazione del clima sociale, dei conflitti di potere, dei costumi che connotano quell’epoca (ed è perciò, come accade con certe pagine del romanzo di Tomasi di Lampedusa, che in essi spesso risaltano arguti richiami sociologici).

Per la sua prima opera narrativa, si è voluto affidare a un romanzo storico (con venature di giallo) Salvatore Girgenti, saggista e giornalista marsalese, sicuramente consapevole –considerate le sue esperienze di scrittura – delle difficoltà che un simile genere comporta nel combinare analisi storica e sociologica e fantasia affabulatoria.

Il suo romanzo d’esordio s’intitola “Il caso Tancredi” (sottotitolo: “Una storia siciliana”) ed è edito da La Zisa.

Nella Marsala del primo ‘900, la famiglia Tancredi detiene il potere politico ed economico non solo locale e del Trapanese; le sue influenze si estendono in tutta la Sicilia e la famiglia è strettamente legata al più potente politico italiano del tempo, il primo ministro Giovanni Giolitti. Sindaco e presidente della Banca Popolare di Marsala nonché amministratore di feudi e di aziende varie, Marco Tancredi è il cuore pulsante di un impero economico vastissimo. Lo sostiene a Roma il fratello Massimo, deputato al parlamento da più legislature e fedelissimo a Giolitti. Nella famiglia Tancredi, i fratelli Ludovico e Sergio –troppo chiuso nei suoi studi- recitano ruoli più marginali. In una fredda sera di febbraio, mentre fa ritorno dal circolo dei notabili, a Marco Tancredi viene teso un agguato mortale. Naturalmente, l’omicidio sconvolge gli assetti politici ed economici di Marsala e del circondario; su di esso si formulano varie ipotesi, e tra tutte la pista che gli inquirenti intendono privilegiare conduce a una famiglia rivale dei Tancredi. E’una pista attendibile o la si percorre per un interesse economico-politico che fa da guida – complice il governo Giolitti che dal delitto indirettamente è colpito – agli investigatori?

Lo si scoprirà negli ultimi capitoli del romanzo, grazie al lavoro testardo e scevro da condizionamenti del maresciallo Altisi, che viene dal Nord, e del giudice Manno, che invece è siciliano (intesa professionale che sembra voler dare ragione al Savatteri di “Non c’è più la Sicilia di una volta” accreditando in parte la sua tesi che oggi, nella rappresentazione letteraria dell’isola, a differenza del passato, la giustizia non è più prerogativa dei soli settentrionali).

Il “Caso Tancredi” è un romanzo scritto in un italiano pulito e scorrevole (si sente la mano di un autore di lunga militanza giornalistica); ed è a suo modo un affresco sociologico della Sicilia del tempo, esteso al ritratto – variopinto e multiforme – di un universo femminile che s’affianca al potere. Scriveva Sebastiano Aglianò nel suo mai sufficientemente ricordato “Che cos’è questa Sicilia?”: “La vita del siciliano si svolge intorno a due poli fissi: il denaro e la donna”; e anche il giallo-storico di Girgenti scorre lungo i binari del potere economico e della vis seduttiva delle femmine siciliane.

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