Trapani, punizioni corporali ai bimbi. Storia triste, finale aperto

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(Augusto Cavadi) A Trapani una maestra osserva che, nelle ore di compresenza, alcune colleghe maltrattano – anche con punizioni corporali – i bimbetti di scuola elementare. Ovviamente esprime il proprio dissenso, ma ottiene risposte evasive e da qualcuna quasi ironiche. Constatata l’inanità dei suoi interventi amichevoli ritiene suo dovere morale avvisare la dirigenza la quale, opportunamente, chiede che si mettano per iscritto questi rilievi. Una volta ricevutili, la dirigente scolastica non può fare a meno di applicare le norme previste dalla legge e dal buon senso: dunque di avvisare le Forze dell’ordine che, raccogliendo autonomamente le prove dei ripetuti maltrattamenti mediante intercettazioni ambientali, chiedono e ottengono dal magistrato la sospensione per un anno delle quattro insegnanti (registrate in flagranza di reato). Questa la cronaca unanimemente riportata da tutte le fonti d’informazione.
Logica vorrebbe che in molti (colleghi e genitori, prima di tutti) si stringessero intorno all’insegnante che ha avuto il coraggio civile di denunziare la situazione indecente; che si attivassero per esprimerle pubblicamente solidarietà e per sostenerla psicologicamente, proprio come hanno fatto sinora i funzionari di polizia che hanno seguito le tappe della vicenda.

Sino a oggi, però, di questo supporto nessuna traccia. Anzi si sa con certezza che alcuni congiunti delle insegnanti indiziate di reato hanno clamorosamente protestato contro i provvedimenti giudiziari; che qualche voce “pietosa” si è sommessamente levata per compiangerne la sorte; che un avvocato ha addirittura avanzato il sospetto che le denunce siano partite per risentimento dovuto a contrasti pregressi fra colleghe. Insomma: per l’ennesima volta si corre il rischio di vedere biasimato non chi infanga un’istituzione, ma chi si permette di scoperchiare il marcio, infrangendo il comandamento tacito che impone omertà.
Questa triste storia di una donna siciliana che – invece di girarsi dall’altro lato, come è avvenuto e avviene già tante volte in tutta Italia – ha preferito obbedire alla sua coscienza civica (una storia paragonabile a quanti si ribellano al pizzo o accettano di testimoniare in un processo di mafia) è ancora aperta a due esiti. O l’isolamento sociale da parte di chi cerca alibi alla propria viltà o il riconoscimento dei meriti di un’educatrice che, pur non avendo figliuoli propri a rischio, si è preoccupata di tanti figliuoli altrui che, oggi e nel futuro, avrebbero continuato a subire traumi.

(Augusto Cavadi, www.augustocavadi.com)

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