Report Istat, nascite dimezzate: da 2,4 figli a 1,3 in media a mamma

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Nell’ultimo mezzo secolo le nascite in  Italia sono calate drasticamente, più che dimezzate, passando da quasi un milione del 1965 a meno di mezzo milione nel 2015. Un crollo quasi  inevitabile, se si pensa che nello stesso periodo le donne sono  passate da 2,4 figli, in media a mamma, a 1,3 figli, riducendo il  numero di gravidanze di oltre una a utero. I dati sono contenuti nelle tabelle del report Istat ‘Italia in cifre’ ed elaborate  dall’Adnkronos. Nel 1965 sono nati 990.458 bambini, mentre nel 2015 le nascite sono calate a 473.461 cioè il 47,8% rispetto a 50 anni prima.

Un altro indicatore che può aiutare a comprendere come sta cambiando  la popolazione italiana è il rapporto tra nati e residenti: nel 1965  il numero di bebè era pari a 18,3 ogni 1.000 abitanti (quasi due  bambini ogni 100 persone); mezzo secolo dopo si è scesi a 8,1 nati  ogni 1.000 residenti (meno di un bambino ogni 100 persone). Un altro  dossier dell’Istituto di statistica, dal titolo eloquente ‘Avere figli in Italia negli anni 2000’ spiega quali sono le maggiori difficoltà  che incontrano i genitori nel nuovo secolo.        Dal documento emerge che le coppie non rinunciano a mettere su  famiglia ma, molto più spesso che in passato, si fermano al primo  figlio. Sicuramente un fattore decisivo è la maggiore partecipazione  delle donne al mercato del lavoro, che quindi riduce il tempo a  disposizione per svolgere i compiti domestici famiglia. La nascita di  un figlio condiziona a tal punto la vita lavorativa che due donne su  10, occupate all’inizio della gravidanza, hanno lasciato il lavoro nei due anni successivi alla nascita del figlio.

Tra chi continua a lavorare, dopo essere diventata  mamma, quasi la metà (il 42,8%) dichiara di avere problemi nel  conciliare l’attività professionale con gli impegni familiari. Il  progressivo aumento della partecipazione femminile al mercato del  lavoro, si spiega nel dossier, ”non è stato accompagnato da un  parallelo e contemporaneo processo di trasformazione del ruolo  all’interno della famiglia e della coppia”.

In altre parole mancano le strutture pubbliche, come gli asili, su cui poter contare quando le neo mamme devono tornare a lavorare.  L’alternativa sono le strutture private, che per i costi elevati sono  ‘off limits’ per molte famiglie. La situazione economica è infatti un  altro fattore determinante, nelle decisioni legate al numero di figli  da avere. Perché, ovviamente, al crescere del numero dei bocche da  sfamare aumentano anche le difficoltà: se alla nascita del primo bimbo i problemi economici vengono percepiti da 3 donne su 10, quando si  arriva a 3 figli e più le difficoltà sono avvertite da quasi 4 donne  su 10.

Oltre a problemi logistici ed economici bisogna considerare anche  altri fattori, come l’aumento delle ‘primipare attempate’, cioè le  donne che affrontano la prima gravidanza dopo i 35 anni, che quindi  limita la possibilità di avere una seconda gravidanza. Infine ci sono  motivazioni psicologiche, legate forse a una maggiore consapevolezza  rispetto al passato, come le preoccupazioni legate alla gravidanza, al parto e alla crescita dei figli.        (Sim/AdnKronos

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