Fornero, tasse, canone tv…Quanto costano le promesse elettorali

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Dall’abolizione della Legge Fornero alla cancellazione del canone Rai e delle tasse universitarie: il 2018  prende il via a suon di promesse elettorali da parte dei principali  schieramenti in campo in vista del voto del 4 marzo. Dal Pd, che con  il segretario Matteo Renzi, si impegna ad azzerare il canone Rai, al  centrodestra che assicura la polverizzazione della riforma Fornero,  passando per la nuova formazione Liberi e Uguali, capitanata da Pietro Grasso, che punta a intervenire sulle tasse universitarie.

Cancellarla “sarebbe un gravissimo errore”, “è uno dei  pilastri del sistema pensionistico italiano e della sostenibilità  finanziaria del Paese”, ha sottolinea il ministro dell’Economia Pier  Carlo Padoan, a margine di una conferenza a Bruxelles. “Naturalmente – aggiunge il ministro – le correzioni sono sempre possibili, come, per  esempio, nel caso dell’ultima legge di bilancio, in cui sono stati  rivisti i meccanismi relativi ai lavori usuranti, che hanno permesso  di mitigare l’impatto dell’adeguamento dell’età pensionabile. Si  possono sempre migliorare le riforme – conclude – ma abolirle sarebbe  del tutto fuori luogo”.

Di ben più basso impatto per l’Erario ma con una forte presa  nazional-popolare è invece la cancellazione del canone Rai, che nel  2016 ha assicurato un gettito di 2,1 mld di euro. Ciclicamente  sventolato dai partiti come slogan pre-elettorale dal facile appeal,  la tassa sulla televisione è oggi uno dei cavalli di battaglia dell’ex premier Matteo Renzi che appena due anni fa ne ha limato l’entità (da  113,50 euro del 2015 a 100 euro e 90 nel 2017) e modificato la  riscossione introducendo il pagamento con la bolletta elettrica.

Nel 2016, l’anno del debutto della nuova forma di pagamento, il  gettito è stato pari a 2,1 mld di euro (+16,3 % su anno) e l’evasione  è crollata dal 30 al 4%. Resta da vedere come verrebbe finanziato il  servizio pubblico televisivo al quale vengono destinati ¾ del canone.  Tra le ipotesi emerse nel dibattito politico quella di togliere alla  Rai i paletti di raccolta sul mercato pubblicitario.

Al di là delle critiche di merito, gli interventi prospettati hanno un costo. Quelli ipotizzati da Pd e Liberi e Uguali sarebbero decisamente più abbordabili per i conti pubblici, ammontando complessivamente a  meno di 4 miliardi di euro. Ben altro discorso invece per la  cancellazione della Fornero che costerebbe 350 mld in termini di  mancati risparmi fino al 2060.

Introdotta a fine 2011 dall’allora ministro del Lavoro del governo  Monti Elsa Fornero per mettere in sicurezza i conti pubblici nel pieno della crisi e della corsa dello spread, la riforma ha inasprito le  revisioni del sistema pensionistico precedenti. L’abolizione promesso  da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia avrebbe però oneri elevati  per il bilancio pubblico: secondo la Ragioneria generale dello Stato  costerebbe 350 miliardi di euro cumulati fino al 2060; solo nel  decennio 2020-30 i minori risparmi sarebbero di circa un punto di pil  ogni anno, cioè 17 miliardi di euro.

Altra promessa elettorale protagonista del dibattito è  la cancellazione delle tasse universitarie, che costerebbe 1,7  miliardi di euro e interesserebbe circa un milione di studenti. Il  risparmio medio sarebbe, quindi, di 1.700 euro a iscritto. In totale a frequentare gli atenei italiani sono 1,6 milioni di persone ma, grazie agli sconti introdotti dalla legge di bilancio 2017 e alle misure dei  singoli atenei, si stima che oltre un terzo degli iscritti già non  paghi le tasse. In particolare nell’ultimo anno accademico è stata  introdotta una no tax area, per chi ha un reddito Isee al di sotto dei 13.000 euro, mentre per i redditi fino a 30.000 euro sono previsti  degli sconti. In aggiunta diverse università hanno deciso di estendere la platea interessata dalle agevolazioni, portando la soglia anche  fino a 23.000 euro.

La nuova misura andrebbe quindi a interessare il resto della platea,  cioè coloro che hanno un reddito Isee superiore alle quote fissate  dallo Stato o dell’ateneo. La critica principale che viene rivolta al  leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso, che ha proposto l’abolizione delle tasse universitarie, è proprio quella di proporre una misura  poco di sinistra, in quanto non rispetta il principio di progressività del contributo fiscale, richiesto ai contribuenti a seconda della  ricchezza.

Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, definisce la  proposta di Grasso una ”cosa trumpiana e non di sinistra”, cioè ”un supporto fondamentale alla parte più ricca del Paese”. Intervenire  sulle tasse universitarie, risponde Pier Luigi Bersani, è necessario  perché ”abbiamo la metà dei laureati dei principali paesi europei”.  Negli ultimi 10 anni, inoltre, sono state perse sessantamila  immatricolazioni, pari al 20%. ”Vorrei dire quindi al ministro  Calenda di avere un po’ di umiltà in più: non è una proposta alla  Trump, è una proposta alla tedesca”. In altre parole anche  l’istruzione universitaria, spiega Bersani, dovrebbe rientrare  nell’universalismo dell’istruzione.

(Cim-Mis/AdnKronos)

 

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