4 marzo, mappa di vincitori e vinti in Sicilia e nella Penisola

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E’ proprio una brutta campagna elettorale. Nei giorni in cui si vanno definendo le liste per i collegi uninominali e per la quota proporzionale, risalta sempre di più l’inconsistenza programmatica che accomuna la gran parte delle forze che si presentano alla competizione che si concluderà con l’apertura delle urne il 4 marzo. Il PD è tra Scilla e Cariddi: titolare della presidenza del Consiglio non può non difendere l’operato di una legislatura in cui ha sempre governato Ciò oggettivamente lo indebolisce in un paese che non riesce a percepire nella quotidianità della vita delle persone il superamento della lunga e devastante crisi è ormai alle spalle. Il decennio della grande recessione ha lasciato l’Italia non solo economicamente più debole e socialmente più divisa, ma anche afflitta da una sorta di sindrome del rancore che deriva dalla percezione a livello di massa che il futuro sarà comunque peggiore del presente.

L’errore di Renzi presidente del Consiglio fu di offrire una narrazione che non trovava riscontro nelle cose che la gente comune trovava sulla sua strada ed ne pagò le conseguenze con la bocciatura referendaria. Continuo a pensare che modifiche della seconda parte della Costituzione siano opportune per il buon funzionamento del paese- penso per tutte alla disastrosa riforma del titolo V sui rapporti tra stato centrale e regioni del 2001- ma la scelta dissennata di trasformare l’appuntamento del 4 dicembre in un referendum sulla persona dell’allora presidente del Consiglio ha condotto ad una sconfitta che peserà probabilmente anche sulle prossime elezioni politiche. Tuttavia il PD, pur con le sue evidenti difficoltà e contraddizioni (e con la parabola renziana in fase discendente) resta una forza determinante per qualsiasi prospettiva che non intenda consegnare l’Italia al centro destra o ai Cinquestelle.

Nonostante i gravi errori nella politica del lavoro (è vero che l’occupazione è tornata a crescere ma si è allargata a dismisura l’area della precarietà e dei bassi salari), la gestione di Gentiloni ha introdotto segnali di novità significativi. Qualcosa si muove anche a sinistra dei Democratici. Se sono state riportate correttamente dalla stampa, le recenti dichiarazioni di Massimo D’Alema aprono una discussione di merito dentro Liberi ed Uguali ed evidenziano una differenza di posizioni tra l’area che pensa ad un’alternativa di sistema, coloro che ritengono praticabile un’alleanza con i Cinquestelle e una parte del gruppo dirigente che, anche in ragione delle sorprese che il Rosatellum potrà determinare, pensa piuttosto ad un centrosinistra senza Renzi. Certo è che, in questo mare procelloso, la leadership di Pietro Grasso appare sempre meno forte e rappresentativa e si vedono in trasparenza le caratteristiche di rassemblement elettorale della nova formazione, che tra l’altro subisce sul suo fianco sinistro l’incognita costituita da Potere al popolo che potrebbe raccogliere il voto del radicalismo di sinistra la cui consistenza non è determinabile ma potrebbe non essere ininfluente. Non a caso Luciana Castellina, dalle colonne del Manifesto, critica senza remore l’operazione che trova ispirazione nei Centri Sociali e nel neo costituito PCI.

Il vento soffia nelle vele del centrodestra che l’abilità di federatore di Silvio Berlusconi ha rimesso in carreggiata, nonostante le palesi divisioni programmatiche tra Salvini e l’ala che fa riferimento al popolarismo europeo. Le proiezioni sui collegi maggioritari (un terzo degli eletti) pubblicate dal Corriere della Sera danno vincente il centrodestra in tutto il Nord. Il dato della Lombardia, l’area più avanzata ed “europea” del paese, è emblematico: 31 seggi su 35 nonostante le dichiarazioni razziste del candidato presidente della Regione Fontana. Un successo viene pronosticato anche in Veneto con 16 seggi su 19.

Il centrosinistra resiste solo nelle tradizionali aree di insediamento “rosso” dell’Italia centrale: in Emilia Romagna e Toscana si concentra il 70% dei seggi uninominali in mano al PD. Esso sparisce invece dal Mezzogiorno dove la partita si gioca tra M5S e centrodestra.

In Sicilia le proiezioni danno la triade Berlusconi-Salvini-Meloni vincente su Di Maio per 11 seggi a 9, mentre il PD sparisce dalla scena e riuscirà ad eleggere parlamentari solo nella quota proporzionale. In tale situazione, la visita di Matteo Renzi a Caltagirone per celebrare Don Sturzo non poteva riuscire a sciogliere i nodi delle candidature siciliane che, alla viglia della convocazione di una direzione regionale più volte rinviata, appaiono sempre più difficili da affrontare. Basti considerare le dichiarazioni di Rosario Crocetta, in prima fila a Caltagirone, e l’intervista rilasciata da Antonello Cracolici ad un quotidiano on line per comprendere che i democratici siciliani sono nel pieno di una tempesta che somma la discussione mai affrontata sull’esito disastroso delle elezioni regionali, con la difficoltà a definire una linea nei confronti del nuovo governo di centrodestra e con lo scontro sull’individuazione delle candidature in una condizione in cui solo la collocazione nei primi posti delle liste per i collegi plurinominali darà la speranza di essere rieletti.

A tutto questo si aggiunge lo scontro nell’area nissena sulla presenza di Sicilia Futura dell’ex ministro Cardinale. Sarebbe già troppo per un partito tradizionale, di quelli della prima Repubblica; figurarsi per quel soggetto debole e diviso, sostanzialmente una somma di comitati elettorali, che è oggi il PD siciliano.

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