77 parlamentari siciliani a Roma. E chi perde nell’isola…

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Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 13-06-2012 Roma Politica Camera - decreto anti corruzione - fiducia Nella foto: voto fiducia Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 13-06-2012 Rome Politics Chamber of Deputies - anti-corruption decree law - vote of confidence In the picture: vote of confidence


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Saranno 77 (52 deputati e 25 senatori) i parlamentari eletti il prossimo 4 marzo in Sicilia. Dopo Lombardia, Lazio e Campania si tratta del più grosso pacchetto di rappresentanza a Montecitorio e palazzo Madama: la Sicilia è perciò una delle regioni in cui si vinceranno o si perderanno le prossime elezioni generali. Al dato numerico si aggiunge anche una condizione politica che la mette in primo piano. Alla regione siciliana è toccato di sperimentare con il “patto dell’arancino” il preludio della nuova alleanza di centrodestra sancita ad Arcore nella domenica post Epifania, in Sicilia lo smottamento elettorale e la paralisi politica del PD hanno assunto le forme più gravi e preoccupanti, proprio nell’isola si è infranto sul muro dell’astensionismo il tentativo di assalto al cielo del M5S. Naturale perciò che sull’isola si concentri l’attenzione nazionale, pur nelle forme scombicchierate ed iperpopuliste della trasmissione di Giletti (Non è l’arena, su La7).
Non è la prima volta e non sarà l’ultima: l’immagine di una Sicilia dei “privilegi” presentata tra urli, insulti e lazzi dei partecipanti è utile per alimentare il discredito della politica, ma non coglie assolutamente alcuno dei processi reali che nell’isola si stanno sviluppando e che vanno invece analizzati nel merito.
Per una sorta di eterogenesi dei fini (non nuova nella politica italiana) la nuova legge elettorale non sembra destinata ad aiutare chi l’ha voluta, cioè i Democratici. Essa segna infatti la fine della cosiddetta vocazione maggioritaria di quel partito, sposta l’asse verso il sistema proporzionale senza preferenza con cui saranno eletti i due terzi dei parlamentari e lascia al presidente della Repubblica ampio margine – se come si prevede nessuna delle principali forze in campo raggiungerà la soglia del 40%- per esercitare le proprie competenze costituzionali. Sarà insomma il presidente della Repubblica ad incaricare il nuovo presidente del Consiglio affidandogli anche il compito di trovare una maggioranza parlamentare. Compito che potrebbe risultare tutt’altro che facile conducendo l’Italia ad una situazione simile a quella attualmente esistente in Germania e Spagna, cioè la permanenza in carica con pieni poteri del governo uscente non sfiduciato dalle Camere.

Una situazione nuova per la democrazia italiana e di gestione tutt’altro che facile. Così come non sono da escludere tentativi di costruire alleanze tra schieramenti diversi: la saldatura tra Berlusconi, Salvini e la Meloni, anche per i contenuti del programma, rende politicamente insostenibile un accordo con i Democratici, mentre le recentissime dichiarazioni dei Pietro Grasso leader di Liberi ed uguali candidano quella formazione politica a possibile spalla di un governo pentastellato o di un esecutivo diretto da un democratico che non sia Renzi. Tuttavia, bisognerà prima fare i conti con gli elettori. Qui torniamo alla Sicilia: pressoché nessuno dei diciannove collegi uninominali della Camera e dei nove del Senato, per un totale di ventotto parlamentari appare contendibile dall’alleanza di centrosinistra, tranne che si presentino candidati dotati di poteri miracolosi e la strada si presenta assai aspra per gli stessi pentastellati.
Nella quota maggioritaria il centrodestra è destinato a far man bassa se ripete i risultati delle recenti regionali. Lo scontro si concentrerà perciò sui collegi plurinominali proporzionali in cui ciascuna delle forze contendenti misurerà il proprio consenso. Nel 2013 la coalizione di centrosinistra elesse 20 deputati e cinque senatori, grazie anche alla conquista del premio di maggioranza: tenendo conto che alcuni degli eletti nel PD sono oggi confluiti in Liberi ed Uguali, non tutti gli uscenti troveranno spazio per la riconferma.
La battaglia in corso per la collocazione in lista appare durissima e, insieme alla incapacità di un’analisi autocritica delle ragioni della recente sconfitta alle Regionali, è all’origine dello scontro dilaniante in quel partito. Se non si ridefiniranno, anche attraverso la scelta di chi collocare nei posti “sicuri” delle liste proporzionali, gli assetti interni, le vicende dei democratici siciliani sono destinate a non rompere gli attuali limiti asfittici. Ciò tra l’altro, proprio nella fase in cui le prime scelte della Giunta del presidente Musumeci fanno emergere consistenti difficoltà e lascerebbero spazio all’azione dell’opposizione, ove essa desse segni di esistenza in vita.
Mentre attendiamo che i pentastellati ci comunichino le risultanze degli algoritmi di Rousseau che sceglieranno i “cittadini candidati”, la partita più delicata si gioca nel centrodestra che dovrà definirà assetti interni capaci di confermare il successo dello scorso ottobre e di consolidare gli equilibri della complessa coalizione “a quattro gambe”. Compito che è certamente più facile quando il vento sembra spirare a favore, tuttavia meno semplice di quanto sembri perché tutto il lavoro di questo governo regionale è orientato ad aspettare lo sviluppo degli eventi nazionali con la speranza che un “governo amico” possa tirarlo fuori dai guai.

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