La cucina vegetariana e il naturismo crudo di Enrico Alliata, Duca di Salaparuta

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Nel già lontano 1988 l’editrice Sellerio di Palermo, su licenza di un altrettanto grande editore come Ulrico Hoepli di Milano, pubblicava un prezioso manuale di “gastrosofia naturista” che raccoglie 1030 formule (ricette) scelte da vari paesi, di cucina vegetariana, contenente qualche contraffazione per i carnivori. Non si tratta evidentemente soltanto di un importante ricettario ma di un raro compendio di memoria storica della nostra Isola.

Come ricorda e scrive nell’introduzione al libro Gioacchino Lanza Tomasi, l’uso di tenere diari e di conservare la corrispondenza non è stato il forte dell’aristocrazia siciliana, ed ancora meno il culto delle memorie nelle classi dirigenti che seguirono. Una storia di Palermo dopo l’Unità è forse ancora più problematica di una storia di Palermo settecentesca, basta dire che mancò un grafomane del calibro di Emanuele Gaetani, Marchese di Villabianca e i suoi infiniti “Diari”, cronache quasi giornaliere della vita e della società palermitana del suo tempo. Le carte degli ultimi cento anni sono sparite insieme alle memorie delle case, degli arredi – quando la civiltà di una oligarchia stanca venne soppiantata dall’emergere volitivo della borghesia contadina. Non fu il passaggio di mano in mano del denaro, ma la morte di un sistema. Le carte finirono al macero, vittime degli “sbarazzi”. Così, a parlarci dell’ultimo scorcio di secolo non furono gli storici ma i romanzieri, i grandi romanzieri siciliani come Verga, De Roberto, Capuana, Tomasi di Lampedusa, che hanno elaborato ognuno per sé la propria tradizione orale.

Con l’elaborazione di quest’opera sulla cucina vegetariana, che il duca di Salaparuta preferiva chiamare Manuale di gastrosofia naturista, Enrico Alliata manifestò tutta l’intenzione di fornire all’umanità uno strumento di redenzione che prendesse le mosse dall’ortodossia dietetica.

Il disincanto o la sapienza del vivere secondo natura ha la sua parte, da Rousseau in poi, nell’esperienza di ogni formazione aristocratica: Enrico Alliata non mancò all’appello, e ne coltivò una propria versione, originale e consona ai tempi. “Necrofagi” sono detti nell’introduzione quelli che si cibano di carne o di pesce, ovvero tutti quelli che non sono ancora pervenuti ad una “assoluta purificazione rigeneratrice”. Se, sconfitti dai lumi, esoterismo e magia avevano avuto nel settecento il loro momento di eclissi, cinquant’anni dopo l’ansia mistica si rinnova e trae vigore dai metodi della scienza sperimentale. In particolare la pratica del “tavolino” conobbe nel tardo ottocento una voga internazionale. I medium palermitani non furono inferiori all’attesa come per alcune famiglie particolarmente dotate i cui nomi affiorano ancora oggi sulle labbra degli iniziati con riverente timore e sono i Samonà, i Natoli, gli Alliata Pietratagliata che s’intrecciavano nella conversazione di Lucio Piccolo con Paracelso, Bohme, Swedenborg o il correligionario di poesia ed esoterismo W. B. Yeats, con il quale Piccolo era stato anche corrispondente. E non si scrivevano di poesia ma si scambiavano informazioni sulla diversa natura dei folletti, Gobbins irlandesi e fatine sicule.

Caratteristica di questa scuola siciliana era la decisa tendenza spiritualistica, secondo cui l’aldilà è individuato quale progressivo elevarsi delle anime di astro in astro, fino alla dissolvenza nirvanica. Nati fra il 1874 e il 1884 i sei fratelli Alliata di Villafranca praticarono anch’essi da giovani lo spiritismo. Il secondogenito, Alvaro principe di Buccheri, pare possedesse notevoli capacità medianiche, condivise in parte dalla sorella Felicita. Ma la condanna della Chiesa pose fine alle sedute e soltanto il terzogenito, Enrico duca di Salaparuta, continuò a dedicarsi alle ricerche esoteriche, e finirà con l’aderire alla teosofia. Certo la chiesa allora incuteva più paura di oggi ed Enrico Alliata non si dedicò al “tavolino”, piuttosto ad una speculazione sull’aldilà da cui era bandita ogni pratica di negromanzia.

Così scrive Gioacchino Lanza Tomasi nella sua presentazione: “Teosofo è colui che possiede la scienza emanata da Dio. Sua meta non è l’abbandono mistico ma l’applicazione del carisma all’indagine scientifica. Branca di questa rivelazione del divino nella natura è la gastrosofia e quella del duca di Salaparuta costituisce il suo contributo originale alla soluzione della felicità umana. Oggi che tutte le nostre inquietudini trovano risposta, se non soluzione, nella psicoanalisi, le lusinghe dell’esoterismo nelle loro imprecisioni orfiche e poetiche hanno vita dura e non soltanto per via degli scettici”. “Se dovessi infine optare per la sopravvivenza, la vecchia e solida chiesa cattolica ha argomenti più stabili della tua poesia” diceva Lampedusa a Lucio Piccolo. Nella cultura di massa gli spiritualisti furono battuti dalla divulgazione scientifica, i grandi iniziati rimasero fuori commercio e l’uomo attende sempre la redenzione della natura, se non dalla gastrosofia, dalla liberazione dell’istinto.

Ma i “personaggi” e tra questi il duca di Salaparuta ci insegnano che la soluzione è nella prassi. Nato nel 1789 e morto nel 1946, con due guerre mondiali alle spalle e i rivolgimenti economici attraversati dalla sua classe in Sicilia, non si può dire che la sua vita sia passata con leggerezza. Alle traversie corrispose la prassi e gli fu sufficiente trovare una ragione etica di esistere nel suo dilettantismo artistico, (basso baritono- si era perfezionato al conservatorio di Milano), nell’agricoltura (diresse con competenza l’azienda enologica Corvo di Salaparuta, fondata nel lontano 1824 da suo nonno Eduardo), nella gastrosofia, di cui questo libro è esempio.

Nel crepuscolo dell’aristocrazia Enrico Alliata mantenne la serenità e indisturbato continuò la professione del “signore”. Sia che al Circolo Filosofico di Giuseppe Amato Pojero dissertasse della sua fede o introducesse i correligionari venuti dall’India, sia da musicista, intrattenendo insieme alla moglie un eterogeneo uditorio, sia che il naturismo gli consigliasse di percorrere a piedi i tre chilometri che separano la villa Valguarnera, sua residenza estiva, dalla Torre di Casteldaccia, sede dell’azienda enologica, sia, ancora, nelle lunghe ore spese assieme a figlie e nipoti nella compilazione delle ricette. Eccentrico si, ma nella cucina e nell’industria tecnico di classe, Enrico Alliata meditava lungamente sull’arte della tavola e su quella del vinaio. Fu enologo professionista, capace di dissertare con freddezza di chimico sui processi della fermentazione e a questa seppe accoppiare la sapienza empirica di coloro che dal “boquet” sanno quali tagli, e quali botti di rovere, e quale travaso, e quale dimora convenga alla perfezione del prodotto. I vini, come i violini, portano impresso l’affetto dell’uomo, sono costruiti con scienza, mestiere e intuizione. Qui il duca di Salaparuta fu un virtuoso dell’arte sua, e i blasoni sulle etichette del Corvo di Salapruta ne premiarono i meriti, e lo ricordano ancora oggi.

Sapiente, ambientato nelle sue dimore a villa Valguarnera, nel palazzo Villafranca, nella torre di Casteldaccia, lì Enrico Alliata seppe amare la natura ed imparò a non temere la morte. Le memorie, le pietre e la famiglia gli avevano trasmesso il dono della nascita.

Mens sana in corpore sano fu il principio fondante della sua vita: la teoria della vecchia scuola biologica sostenitrice che nelle carni possiamo attingervi certi aminoacidi risultanti dall’elaborazione assimilatrice dell’animale, mentre non lo possiamo trovare direttamente nei prodotti del regno vegetale, sosteneva, è ormai demolita anche dai fatti sperimentati che hanno sempre provato praticamente come l’uomo non solo può vivere, ma vive meglio con i prodotti della sola terra. Poi è stato dimostrato scientificamente come, per ragioni di maggior grado evolutivo dell’organismo umano, questo può compiere la trasformazione suindicata da se stesso e in una maniera più perfetta che non la possa fare un organismo d’ordine inferiore come è quello di ogni animale. Basti d’altro canto empiricamente osservare che gli animali dei quali si sono studiate le carni e trovati i detti aminoacidi, sono esclusivamente erbivori. Ora, se essi possono compiere questo processo elaborativo attraverso l’alimento di sole erbe, in miglior modo lo potrà disimpegnare un organismo d’ordine superiore attraverso un’alimentazione naturista completa. Non regge dunque la presunta utilità, è la sua conclusione ovvia, e tanto meno il preteso bisogno di ricorrere ad un pigro e degradante parassitismo non degno della nobiltà dell’essere umano, sia come etica individualità che come entità biologica.

Significativa la citazione in antiporta che sintetizza lo spirito con il quale il libro fu compilato: “Disse Iddio: Ecco che io vi ho dato tutte le erbe che fanno seme sopra la terra, e tutte le piante che hanno in se stesse semenza della loro specie perché a voi servano di cibo” (Genesi, v. 29).

Il volume contiene, oltre al formulario, delle premesse dietetiche con dettagliata descrizione e valore degli alimenti vegetariani, alcune diete specifiche, il modo razionale di distribuzione dei pasti e un’appendice ricca di formule crudiste, da brodi e minestre ai secondi piatti ai latticini alle salse, a pane e pagnotte crude per finire con “dolcerie” e bibite e tisane.

Con le illustrazioni dal “Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis” di Pietro Andrea Mattioli, pubblicato a Venezia nel 1565 e gentilmente concesso all’editore per la riproduzione dal proprietario, Cesare Barbera, la prima edizione di questo libro dalla sovraccoperta in blu è ormai un fuori collana di Sellerio, rara a trovarsi, preziosa memoria di un pezzo di storia di cui poco rimane in originale.

Dal formulario, ricco di ricette povere e salutari, riportiamo quella più semplice e di casa nostra, così com’è:

Polpettine palermitane

Pangrattato grammi 300, noci sgusciate grammi 100, caciocavallo grammi 100, uova 2, prezzemolo, cipolla e salsa di pomodoro.

Arrosolate la cipolla in un po’ di burro e fatela disfare con un mezzo bicchiere di vino. Mettete il pangrattato a mucchietto sullo spianatoio e nel mezzo versatevi il soffritto, il cacio grattugiato, le noci pestate, il prezzemolo triturato, sale pepe e le due uova. Impastate aggiungendo o del pangrattato o dell’uovo se vi occorre. Fate le polpette e friggetele per coprirle di una buona salsa di pomodoro.

E ancora una per i “carnivori” alla maniera di Enrico Alliata:

Arrosto in casseruola

Fate mezzo chilogrammo di miscela in parti uguali dei seguenti legumi: lenticchie, fagiuoli, piselli secchi; fateli cuocere a piccolo fuoco con una carota, un pizzico di bicarbonato, senza sale ed aggiungendo a poco a poco acqua bollente, finché saranno molto ben cotti senza essere troppo umidi. Passate allo staccio ed impastatevi prezzemolo triturato, essenza di cipolla, noce moscata, 6 noci peste, sale, pepe, grammi 75 di parmigiano grattugiato, 2 uova e del pangrattato, quanto basti per render sostenuta la pasta. Datevi forma di un grosso salsicciotto e fatelo arrosolare al forno in burro ed un mazzettino di rosmarino. Togliete il polpettone, disponendolo in piatto al calore, asportate il rosmarino, bagnate il burro con mezzo bicchiere di buon vino bianco secco, legate con un po’ di farina e dopo pochi minuti versate sul piatto contornando a piacere.

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