Centrosinistra in Sicilia: diagnosi impietosa e cure palliative

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Il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, nel gazebo dove si vota per il segretario nazionale dei Democratici in piazza Castelnuovo a Palermo, 30 aprile 2017. Crocetta lì ha incontrato il segretario regionale del Pd Fausto Raciti. Insieme si sono fatti fotografare e hanno ceduto il passo ad alcune persone che erano in fila per votare. ANSA/ RUGGERO FARKAS


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La vicenda dell’appoggio fornito nel segreto dell’urna da alcuni deputati democratici al presidente dell’ARS Gianfranco Micciché e le polemiche aspre che ne sono seguite sono solo la punta dell’iceberg della crisi profonda in cui versa il partito democratico siciliano.  Lo scontro è destinato ad inasprirsi man mano che si avvicinerà la scadenza delle elezioni politiche generali,  previste per il marzo 2018. Il silenzio del Nazareno (la sede centrale del partito) che sembra ancora una volta prendere le distanze dal guazzabuglio siciliano non aiuterà certamente a chiarire la situazione, che trova le sue radici nelle mancate scelte degli ultimi anni.

Gli errori sono stati tanti, ma -ad avviso di chi scrive- due hanno specificamente determinato le travagliate vicende di questi giorni. Il primo è da riferirsi al mai chiarito rapporto con Crocetta e la sua esperienza di governo, dalla quale paradossalmente la distanza fu grande quando il legame tra  il presidente e l’opinione pubblica siciliana era ancora  positivo, tranne a caricarsi il peso delle progressive defalliances nel momento in cui la situazione andava deteriorandosi.

L’altro abbaglio lo prese quella parte del gruppo dirigente democratico che ha  puntato alla crescita del gruppo parlamentare all’ARS attraverso la cooptazione di personale politico proveniente da altre esperienze, in particolare dall’autonomismo di Raffaele Lombardo.  Far crescere il consenso anche attraverso l’acquisizione di parlamentari eletti in altre liste non è di per sé un fatto esecrabile; il problema è quando quel personale politico si trova in una condizione in cui la dirigenza tradizionale della formazione in cui si inserisce  non esercita  più il controllo- l’egemonia, direbbero gli eruditi- sulla stessa. 

Il PD siciliano aveva già subito il trauma dello scandalo Genovese, che ne era stato addirittura il segretario regionale; l’arrivo di grandi collettori di preferenze ha fatto saltare tutti gli equilibri interni ed ha in qualche modo interrotto il collegamento tra il partito e la sua base tradizionale che è ancora in buona parte costituita dalla sinistra e dal popolarismo cattolico. I fondatori si sono trovati oggettivamente spiazzati, sia i diessini che i cattolici e laici provenienti dalla Margherita. Né si è creato un nuovo comune sentire del partito, che è rimasto sostanzialmente diviso in camere stagne.

Questo, sommato agli errori di una campagna elettorale data per persa sin  da prima dell’inizio, ha portato a conseguenze esplosive.  Nell’area orientale è rimasta esclusa da sala d’Ercole pressoché tutta l’area di provenienze diessina dall’assessore uscente Bruno Marziano a Siracusa ad Angelo Villari a Catania; nella Sicilia Occidentale i principali esponenti della precedente legislatura Da Gucciardi a Lupo a Cracolici sono riuscito a mantenere in qualche modo le posizioni. Ne è scaturito un gruppo sostanzialmente incontrollabile, come hanno dimostrato le prime battute della nuova legislatura. 

I veleni continuano a circolare nel corpo del partito, se si pensa alla violenza delle polemiche di questi giorni , ma anche ai boatos che in qualche provincia orientale si sentono su possibili interventi della magistratura che potrebbero perfino mutare la composizione dell’Assemblea Regionale. Il silenzio romano incuriosisce e lascia spazio ad ogni interpretazione, anche in considerazione della nuova campagna elettorale che si approssima.

La nuova legge elettorale di per sé somiglia ad una sorta di terno al lotto: il gioco  reciproco tra il terzo di collegi maggioritari e i due terzi di proporzionale e il modo stesso in cui sono ritagliati i nuovi collegi della Camera e del Senato rendono davvero impossibile prevedere cosa succederà.

I sondaggi creano preoccupazione e sarà assai difficile riproporre a Camera e Senato l’equilibrio numerico dei deputati uscenti. Ci sono poi alcune questioni che riguardano la rappresentanza sociale di quello che resta il principale partito di centrosinistra. E’ evidente la distanza tra il PD e le grandi organizzazioni sociali. Faccio solo l’esempio del sindacato, ma non è l’unico. Ormai da più di un quindicennio gli iscritti della Cgil della Cisl e dell’Uil votano per loro conto e sarebbe pressoché impossibile, se anche lo si volesse, pensare di orientare il loro voto. Tuttavia si scopre l’acqua calda affermando che una parte dei gruppi dirigenti hanno ancora identità politica e capacità di orientare il cerchio più vicino dei militanti. Ebbene a chi scrive colpisce l’evidente lontananza della Cisl dalla vicenda politica, inusuale per un’organizzazione che ha avuto in Sicilia un ruolo significativo su questo versante.

Nella Cgil la presenza dell’alternativa costituita dalla nuova formazione di Liberi ed eguali destruttura tradizionali rapporti  in aree territoriali, come quella catanese, in cui l’interscambio tra incarichi sindacali e presenza nelle assemblee elettive e negli esecutivi locali è stato più diffuso.  Come e quanto peserà tale situazione sui risultati delle elezioni nazionali è una delle varianti che  determineranno le vicende dei prossimi mesi.

FRANCO GARUFI

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