Un’intramontabile ricetta siciliana del XVII secolo: i “Ramacchè”

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Diciamolo pure: nel XVII secolo il lavoro del cuoco non godeva di molti riconoscimenti sociali, e venivano pagati davvero pochissimo per il loro duro lavoro; e già, rispetto al periodo storico precedente, il Medioevo dove la categoria era nella maggior parte dei casi associata ai macellai, nel periodo barocco venne accorpata a quella degli albergatori, dei tavernieri e dei pasticcieri. Se il generico cuoco era in fondo alla scala sociale, aveva invece un trattamento interessante e delle buone condizioni di vita il sopra-cuoco, colui che dirigeva tutti gli addetti ai servizi di cucina. La figura che ricopriva questa importante carica proveniva da un lungo periodo di tirocinio durante il quale imparava a preparare banchetti fatti di vivande “mirabili” e sculture trionfali “emozionanti”.

Bartolomeo Scappi sottolineava che questa nuova figura della cucina doveva avere buone doti morali, capacità di sorveglianza dei sottoposti, ricchezza d’inventiva, sveltezza, pazienza, educazione, sobrietà e devozione al padrone.  Anche se essere sopra-cuoco di corte voleva dire avere dei privilegi, non mancavano certo precisi obblighi: era subordinato allo scalco e al maestro di casa, e non poteva minimamente discutere gli ordini ricevuti. Nel suo affaccendarsi doveva ben guardare, «sotto pena della frusta», che nessuno all’infuori dei preposti ai servizi si permettesse di entrare nelle cucine; questo perché i cibi del Signore potevano essere veicolo di avvelenamenti al fine di consumare il delitto di “lesa Maestà”. Il sopra-cuoco doveva controllare che nessun addetto alle cucine lasciasse il proprio posto fino a che il pasto del Principe non fosse terminato, e che nessuno si appropriasse delle «regaglie», ossia gli avanzi di cucina molto ambiti dalla povera gente per ricavare piatti succulenti (oggi patrimonio della nostra “cucina povera”).

La storia della cucina barocca è una premessa alla ricetta che oggi vogliamo riscoprire in tutte le sue varianti, che risale proprio a quel periodo storico, il milleseicento: Il ramacchè – o, meglio, i ramacchè –  che fanno parte delle antiche ricette siciliane. A casa nostra si sono sempre preparati, anche se ormai, essendo laboriosi, fanno parte di quelle preparazioni che stanno scomparendo, ma solo per quanto riguarda le preparazioni casalinghe. Mia Nonna e mia madre ricordo che li servivano di solito come una sorta di appetizer prima di cene o pranzi importanti, e per le feste tradizionali.

Ricetta tradizionale dei ramacchè:

Ingredienti:

125 grammi di acqua
125 grammi di latte
Sale q.b., Pepe q.b., Noce moscata q.b.
50 grammi di burro
180 grammi di farina 00
5 uova
100 grammi di caciocavallo
100 grammi di salame o prosciutto cotto
Un ciuffo di prezzemolo
Strutto

Procedimento:

Mettere a bollire in una pentola l’acqua, il latte, il burro e ½ cucchiaino di sale. Quando il burro sarà sciolto, incorporare la farina amalgamando vigorosamente, quindi toglierla dal fuoco e farla raffreddare. Riporre il composto in una planetaria o uno sbattitore e metterlo in funzione. Unire, uno per volta, le uova (non aggiungere il successivo uovo se il precedente non è completamente amalgamato all’impasto), il prezzemolo, il caciocavallo e il salame (o prosciutto cotto) tagliati a cubetti, il pepe e la noce moscata secondo i vostri gusti.
Dall’impasto ottenuto ricavare, aiutandovi con due cucchiai, delle palline e friggerle in abbondante olio a 170°. Quando saranno ben dorati adagiarli su carta assorbente da cucina e servire.

Possono essere preparati in anticipo per poi essere riscaldati (nel microonde o in forno) poco prima di servirli.

I ramacchè sono la versione di ciò che a Palermo vengono chiamati molto semplicemente “sciù”: quei deliziosi bignè farciti comunemente con crema di ricotta. E a proposito di bignè: questi bignè vengono preparati con la pasta choux (da noi deformato appunto in sciù), di origine francese. È una pasta, dal gusto neutro, molto nota nell’arte culinaria e pasticciera. In francese choux significa cavolo e forse, la possibile etimologia del nome, potrebbe derivare dalla forma del cavolo verza che è simile ai bignè cotti. Generalmente i bignè di pasta choux cuociono in forno a calore moderato; gonfiando assumono una forma cava all’interno che da la possibilità di farcirli secondo necessità. Più raramente vengono fritti, come nel caso dei Sonhos spagnoli e nella nostra ricetta. Questa procedura ci permetterà tuttavia di ottenere dei bignè  molto sfiziosi che sorprenderanno i vostri ospiti.

 

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