Lo stile del Quirinale ieri e oggi

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(da Giovanni Burgio)

Con la recente rinuncia del Presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, si è compiuta la seconda operazione d’ingerenza dell’attuale Presidente della Repubblica nella vita politica italiana. La prima intrusione si è verificata all’indomani del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quando gran parte dei partiti che sostenevano il governo, sconfitti dall’esito referendario, voleva andare subito a elezioni anticipate.

Quella volta Mattarella disse no, e da perfetto democristiano e con logica da Prima Repubblica disse: prendiamo tempo, non occorre essere precipitosi, bisogna fare la legge elettorale, si deve essere responsabili, ecc. ecc. Risultato: il PD ha subito una scissione, il governo Gentiloni ha tirato avanti per un anno e mezzo, la rabbia popolare xenofoba e qualunquista è montata sempre di più. Se si fosse andato a votare subito, invece, il PD avrebbe ottenuto una percentuale intorno al 30%, i Cinquestelle e la Lega avrebbero avuto un buon successo ma non sicuramente quanto hanno raggiunto il 4 marzo 2018, il caos e la confusione che stiamo vivendo in questi giorni sarebbero stati anticipati di un anno e mezzo e probabilmente gli italiani si sarebbero già stufati degli incompetenti e populisti al governo. Andiamo alla seconda incursione: domenica 27 maggio. Con l’uscita di scena del nascituro governo Lega-Cinquestelle e l’incarico al “Tecnico” Cottarelli, l’intromissione nell’agone politico del Presidente della Repubblica è stata ampia e dichiarata. Il rifiuto di nominare a Ministro dell’economia il Professor Savona ha infatti leso, in qualche modo, la volontà popolare. Piaccia o no, infatti, Lega e Cinquestelle hanno la maggioranza dei voti usciti dalle urne, e hanno tutto il diritto, e anche il dovere, di governare la nazione. Dice infatti la Costituzione Italiana all’articolo 1 “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Inoltre, la nostra Carta Costituzionale dà notevole importanza ai partiti, laddove all’articolo 49 afferma “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. E Lega e Cinquestelle, anche se a loro non piace, possono essere definiti senz’altro partiti. E, perdipiù, hanno pure conseguito un notevole consenso popolare. Voto elettorale, che come viene lamentato nell’ultimo libro di Paolo Mieli “Il caos italiano. Alle radici del nostro dissesto”, sembra non essere mai stato preso in seria considerazione in tutta la vita del giovane Stato Italiano, diventando quindi uno di quei fattori della cronica instabilità nazionale. Ma la chiave di lettura più importante riguarda il nostro sistema di governo, che è di natura profondamente parlamentare. Molto diverso è il sistema presidenziale, che vede il Presidente dello Stato, eletto dal popolo, avere grandi poteri nelle sue mani. Il Presidente della Repubblica Italiana, invece, non ha il potere di far decadere o non far nascere un qualsiasi governo. Il nostro capo dello Stato ha funzioni essenzialmente di rappresentanza. Deve semplicemente rispettare e rispecchiare la volontà delle forze politiche presenti in Parlamento. E’ sostanzialmente un notaio di ciò che avviene nella vita politica della nazione. E’ con Giorgio Napolitano che si è verificato il mutamento: gli interventi e le influenze sulla vita politica sono stati ripetuti e importanti. Ma fino allora, la carica di Presidente della Repubblica è sempre stata considerata di mera rappresentanza dell’unità nazionale. Fatte queste opportune precisazioni, la richiesta d’“Impeachment” nei confronti di Mattarella è totalmente sproporzionata e strumentale rispetto a quello che è successo. La drammatizzazione, il clima d’odio e la rissa che si respirano in questi giorni non giovano certo al ragionamento e all’esame accurato dei fatti.

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