Gianfranco Miccichè si racconta frequentemente. E fa notizia. Il numero delle volte in cui la notizia lo premia è molto modesto. Intuisco le ragioni che lo penalizzano: credo che esterni nel momento o dalla location sbagliati. Ci sono parole che vanno bene all’uomo qualunque, ma non al Presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Ed altre parole che otterrebbero un plauso convinto se fossero pronunciate in una circostanza diversa dalla quale vengono dette.
L’intelligenza dei contenuti dovrebbe andare sempre a braccetto dell’intelligenza emotiva o relazionale. Non è facile per nessuno.
Questa impegnativa premessa consente di giustificare la ragione per la quale condivido l’aneddoto di Gianfranco Miccichè a proposito dei manager dell’Asp 6, una struttura sanitaria che fattura un miliardo e seicento milioni, per la quale è stato proposto un bando alfine di scegliere il manager adatto a dirigerla.
Miccichè riferisce di essersi rivolto a suoi amici importanti – e lo sono sicuramente- e cioè Gianni Letta e Federico Confalonieri, ai quali avrebbe chiesto suggerimenti per l’individuazione di un manager all’altezza della situazione, visto che bisogna gestire un sacco di quattrini e che l’Asp non naviga, come altre, in buone acque.
Sia Letta quanto Confalonieri sono stati a sentirlo fino a che non hanno chiesto, com’era ovvio, quanto fosse il budget previsto per il manager. Quando hanno avuto la risposta, hanno pregato Miccichè di chiudere la discussione. “Non ci fare perdere altro tempo”, avrebbero chiosato.
La paga di un manager è modesta, credo che non superi le 6000 euro nette mensili (niente tredicesima), è impensabile che un manager quotato, oggi sono superpagati sia nel pubblico quanto (e di più) nel privato, concorra. I più bravi sono contesi. Restano gli altri. Talvolta la fortuna arride, e l’azienda può contare su una persona competente ed onesta, a costi contenuti, ma il più delle volte il meglio ubbidisce alle leggi di mercato.
Se il Palermo di Zamparini ambisse ad avere nella sua rosa Higuain, gli riderebbero in faccia e verrebbe considerato uno sprovveduto. Miccichè non è stato umiliato dai suoi amici, ma quel “non farci perdere tempo” non è certamente un attestato di fiducia.
L’aneddoto raccontato dal Presidente dell’Ars, tuttavia, ha lo scopo di accendere le luci su una questione-chiave. Il populismo ha fatto molti danni, più di quanti ne abbia fatto la politica in decenni di insipienza, perché ha dissolto in una nebba inestricabile alcune incontrovertibili costanti della società “di mercato”. Sia nel managment quanto nella vita politica le leggi di mercato sono quelle che decidono la sorte di una azienda, pubblica o privata che sia.
La criminalizzazione generalizzata delle retribuzioni – per rappresentanti delle istituzioni e manager pubblici – (i vitalizi non c’entrano niente, sono privilegi intollerabili), hanno provocato danni inenarrabili, abbassando in modo pauroso la qualità della classe politica e dei vertici burocratici e creando le condizioni, per chi non resiste alle tentazioni, di una ricerca affannosa di prebende e compensi off shore.
Sia l’attività parlamentare quanto quella del management pubblico, in passato, ha reso un grosso servigio alla morale populista e ipocrita, offrendole su un piatto d’argento le buone ragioni per farci apprezzare come un deterrente alle ruberie e alle prebende, la corsa al dimagrimento generalizzato del portafogli di dirigenti e parlamentari.
La contestazione pauperista generalizzata, che ricorda , à rebours, il sessantotto ( esproporio proletario e sei politico) e il suo vento di tramontana, ha spazzato via dalle posizioni di vertice (e di responsabilità) i migliori, i quali vanno dove li porta il portafogli (conservato nel taschino vicino al cuore).
L’azienda sanitaria siciliana, per la quale Miccichè ha chiesto suggerimenti, con il suo bando è destinata a scegliere il meglio…del peggio, a meno che un colpo di fortuna non le consegni un benefattore di forte ingegno. Ci sono anche questi in giro, e non hanno santi in paradiso.