E’ passato mezzo secolo dagli anni sessanta. Troppo velocemente. Il 2018, appena arrivato, evoca quegli anni Senza un perché. Rimpianti? Forse. Mi manca quell’atmosfera, le parole di quel tempo. Mi manca Domenico Modugno, mi manca Peppino di Capri, mi manca Fred Buscaglione, quel grande istrione da night: cantava di Porfirio Rubirosa che faceva il manovale alla Viscosa: trovò l’amore a Portofino (“I found my love in….”) e, tradito (“pure il gatto mi hai venduto…”), si fece ammazzare da una ragazzina, “piccola così”, che pure aveva coccolato, (“latte, burro e marmellata”). Peppino di Capri cantava Roberta, e faceva miracoli: ci faceva sentire in pista una sola cosa con la nostra casuale compagna di ballo. Il tempo era sospeso, la musica lieve, le parole si sussurravano, cullate dalla melodia.
Leonardo Sciascia ci faceva scoprire la mafia grazie al giorno della civetta dopo averci presentato “gli zii di Sicilia”. E la Sicilia entrava alla grande nei cinema di tutto il mondo con Divorzio all’italiana e “Sedotta e abbandonata”. Marcello Mastroianni, con il tic e i baffetti lustrati, sfida il circolo dei civili, a braccio della moglie. L’avremmo rivisto mille volte, gustando quel tempo sospeso fra baroni rampanti ormai in disarmo e commendatori meneghini arricchiti dal boom economico.
Anche allora la Sicilia conosceva il declino. Ma era un dolce declino, sul quale ci si lasciava trascinare, innamorati del Gattopardo e di Brancati. Alla radio, Turi Ferro, “Salvatore radio commendatore”, antesignano di Andrea Camilleri, subito dopo pranzo ci regalava un delizioso cabaret fatto in casa dalla Rai Sicilia.
IL declino, oggi, smarrisce. Non ritroviamo nemmeno la nostalgia, partner ideale dei sogni. Le nostre scelte sono rozze. I siciliani cercano un luogo dove godersi al meglio la pensione, in Tunisia o Portogallo. E i giovani, i più ambiziosi e dotati, lasciano l’isola senza rimpianto (“Restare per fare che cosa e dove?”)
La magia di Palermo attrae però i forestieri. Un incanto inspiegabile per chi abita la città, travolto dalla quotidianità.
Perché guardiamo indietro? Il 2018, entrato in punta di piedi, quasi che non volesse turbare la routine delle nostre giornate, ci suggerisce di non nutrire aspettative, accontentarci e lasciarci vivere. Tanto non saremo noi a cambiare le cose, sempre che qualcuno da qualche parte voglia provarci.
Quando il futuro è corto, le aspettative sono modeste; se è lungo, permette di scommettere, sfidarlo. E ricominciare a sognare, provare rimpianti.