Il Siciliano al Quirinale, ritratto di un capo fin troppo sobrio

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La manifestazione degli studenti a Roma, 12 marzo 2015. (Vincenzo Livieri - LaPresse)


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Non mi piace la moral suasion, non mi piace chi non prende posizione sui temi scomodi, non mi piace chi rimane sulla superficie dei problemi. Ho bisogno di sapere come stanno le cose, qual è il pensiero di chi parla, fino a che punto posso contarci. Chi gira attorno alle questioni e mi costringe a indagare, speculare, sospettare, irrita, procura ansia. Con una eccezione. Chi è garante del Patto di una comunità nazionale e deve rappresentare tutto e tutti, può rinunciare alla moral suasion e scendere in campo, lancia in resta, contro coloro che non apprezza, e contro scelte, decisioni, provvedimenti che non condivide?

IL discorso di fine anno del Presidente della Repubblica è la cartina di tornasole di un bisogno inappagato, di una condizione irritante, di una schizofrenia politica che affonda le sue radici nella stessa Costituzione italiana, la quale  offre poteri rilevanti al Capo dello Stato, insieme alla responsabilità, immane, di tenere unito il Paese.

I commenti politici sui dieci minuti di Sergio Mattarella – una brevità senza precedenti –  sono positivi, come lo scorso anno. Coloro che non li condividono preferiscono tacere, e gli altri , sotto traccia, addebitano al “siciliano” che abita al Quirinale una esagerata propensione alla terzietà. Che è una qualità per alcuni, un limite per altri. La flemma, la sobrietà, la compostezza e il rigore di Sergio Mattarella sono vissuti come un difetto o come una rara garanzia per le sorti della Repubblica.

Mattarella unisce e scontenta?

I discorsi dei Presidenti USA aggrediscono le questioni più pressanti. Il Comandante in Capo annuncia le sue decisioni e spiega i provvedimenti assunti. Ma il suo ruolo è profondamente diverso da quello del Capo dello Stato italiano. Sergio Mattarella dispone di importanti leve di comando, che però sono “incastonate” in un sistema di compensazioni, una griglia di poteri e contropoteri, che risente di una storia difficile da dimenticare (il dispotismo fascista).

La sobrietà, dunque, è il risultato di una condizione istituzionale. E’ tuttavia indubbio che Sergio Mattarella rappresenti al meglio la volontà dei nostri padri della Repubblica.

Di quei dieci minuti desidero, comunque, ricordare, il richiamo ai giovani nati nel 99 che per la prima volta votano alle prossime elezioni politiche. Mattarella li sollecita a recarsi alle urne, ma ricorda loro quei coetani che andarono a morire, avendo maturato la stessa maggiore età, nella Grande Guerra. Lo fa con l’intenzione di suscitare il bisogno di partecipazione e di mettersi in gioco. Lo fa anche per far sapere a chi l’ha dimenticato che questa generazione di giovani, come quelle che l’hanno preceduta, non conoscono conflitti bellici, grazie alla pace ed alla democrazia. Con le quali non si cala la pasta a tavola, ma senza le quali si vive e si mangia da schiavi.

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