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Di Caludia Desirèe Lentini- da FB
Ero dai miei e ho visto il programma di Giletti dedicato all’aumento degli stipendi del Senato e contestualmente dell’ARS. Tra gli invitati: Crocetta, ex presidente della Regione Siciliana, Sgarbi neo-assessore ai Beni Culturali in Sicilia, Daniela Santanchè e due giornalisti.
Agghiacciante il populismo che ormai come una marmellata melmosa si spalma ovunque, rendendo tutto un pastone indigesto.
Quando una fonte autorevole quale il Rapporto Svimez 2017 segnala che:
1) la Sicilia arranca in un Sud che comunque a fatica cresce
2) il “depauperamento del capitale umano con le emigrazioni sempre più qualificate, e che ad incidere in misura determinante sul quadro demografico meridionale contribuisce la continua emorragia di risorse umane dal Sud ..”
è palese che la questione dell’innalzamento del tetto degli stipendi dei dipendenti dell’Ars (sebbene collegato a quello del Senato) diventa non più una questione tecnica o di buon senso, ma una questione assolutamente POLITICA. Tuttavia, la POLITICA non è e non potrà mai essere mera demagogia, come Tucidide e Aristotele insegnano. La POLITICA deve essere, soprattutto oggi, “la forma più alta della carità” come affermava il Beato Paolo VI e la Carità è sposata indissolubilmente con la Verità, metodo e finalità ultima. Dove si trova la verità, almeno per me?
Ecco cosa penso:
A. Qualsiasi “tetto” imposto agli stipendi di chi lavora all’ARS o al Senato (o altra Istituzione pubblica) non renderà mai giustizia se prima non garantiamo che nel presente e nel futuro l’accesso ai concorsi ( e tutto il percorso di selezione) non sia ispirato a concreti criteri di trasparenza e meritocrazia. Meritocrazia, accesso programmato e trasparente per tutte le “vacancies” della PA. Chiunque abbia titoli ed esperienza deve desiderare ed ambire a lavorare per la PA, immaginando di poter – per i propri MERITI- far carriera. Utopia? Lavoriamo perché non lo sia!! Questo è compito soprattutto della Politica che deve agire dimostrando di saper arginare certi fenomeni, altrimenti la rabbia sociale sarà uno tsunami che travolgerà tutto.
B. Nella Pubblica Amministrazione sempre, e ancor di più quando si tratta di cariche apicali come quelle in questione, è necessario reclutare le migliori intelligenze e competenze ed è altresì necessario che queste intelligenze siano naturalmente attratte da tali ruoli per il prestigio e la remunerazione ad essi connessi. La remunerazione deve essere meritoria e non un privilegio che segnala un’affiliazione tra te e il “potere” tecnocratico e politico (o chiamiamola casta)
C. Nessun cittadino troverebbe sconveniente remunerare bene chi lavora per il “bene pubblico” ….
Dal punto C in poi, si rompe tutto perché sino ad oggi il punto A e il punto B non sono stati (non sempre) soddisfatti ampiamente.
E allora, che si fa? Si ritorna al punto in cui la Politica deve assumersi la responsabilità di saper operare per il bene comune. Il consigliere parlamentare è un lavoro che richiede competenze raffinate e va remunerato. Non a queste cifre, certo. Lo stesso vale, forse, per il commesso parlamentare? Indifendibile.
Eppure, così, pur avendo tutti noi ragione a disgustarci, finiremo per livellare anche la Pubblica Amministrazione sempre più verso il basso.
Con la politica ci siamo quasi riusciti, a furia di indignarci abbiamo politici che hanno nobilitato le “chiacchiere da bar” al rango di strategia, tra un paio di anni sotto la pressione popolare e populista (giusta, comprensibile e spontanea) avremo l’usciere nel ruolo di dirigente generale. E poi ci pentiremo di non aver ragionato a mente lucida.
Ragion per la quale non mi è piaciuto l’intervento di Figuccia. Trovo la sua posizione irresponsabile tanto quanto chi non trova ragionevole introdurre un limite. Irresponsabili, perché stanno contribuendo a demolire un altro “pezzo di Stato” quando dovrebbero, invece, cooperare per rafforzare la fiducia tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e politica. Se continua così, a marzo, vincerà il partito del non voto.
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