L’età ci fa ripensare con quel pizzico di nostalgia, che non dovrebbe mai divenire sentimento melenso, alle storie del nostro passato, quelle vissute e quelle che ci sono state raccontate, ma ci induce anche a ritornare con la mente ai contesti ambientali della nostra infanzia ed adolescenza, magari mitizzati o dilatati secondo i canoni di quella che potrebbe identificarsi come dilatazione del ricordo personale, cioè restauro della memoria. Perché questa premessa ? Perché la lettura del romanzo di Salvatore Savoia, “Mister Garibaldi”, ed. Torri del Vento, al di là della storia raccontata, che certamente evidenzia un certo sforzo di invenzione, mi ha soprattutto suggerito questo; mi ha colpito infatti il riferimento ai frammenti di memoria in esso assemblati, sicuramente personali ma, in alcuni casi, mutuati in parte dai racconti di coloro che li hanno vissuti o dalle buone letture fatte in molti altre. Mister Garibaldi vuole infatti essere una certa versione del racconto della Palermo del dopoguerra, così gravemente ferita dalle bombe di quel terribile 9 maggio del 1943, con le sue miserie, con i drammi personali e sociali che l’attraversano. Ma lo stesso è anche un tentativo di allargare lo sguardo sulla storia di una terra, la Sicilia, dominata da ceti aristocratici o borghesi arroganti e insensibili alle vicende dei ceti subalterni, che hanno costretto centinaia di migliaia di siciliani a lasciare la loro terra verso terre lontane ed un ignoto avvenire. E’ quindi, in questo senso, il romanzo si manifesta pure come la storia dell’American dream, reinterpretato in modo originale attraverso una variabile che è stata normalmente assente nella storia dei migranti siciliani; in quella storia latita infatti la della cultura e il simbolo materiale che l’incarna, parlo del libro. Girando l’ultima pagina del romanzo mi resta la sensazione forte di trovarmi di fronte ad una prova d’autore sul cui canovaccio il nostro scrittore sicuramente sarà costretto a tornare ancora.
