Ricorrono nel 2018 sessant’anni dalla pubblicazione postuma della prima edizione de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, una delle opere letterarie del’900 più tradotte nel mondo e fonte di ispirazione dell’omonimo capolavoro cinematografico di Luchino Visconti.
Il libraio palermitano Salvatore Fausto Flaccovio inviò a Vittorini il 27 marzo 1957 il dattiloscritto del Gattopardo accompagnandolo con un suo commento molto positivo “… c’ è nel romanzo, almeno così ritengo, qualcosa di più: un senso cosmico smarrente dell’oblio e della pace, quasi una stanchezza di vivere, un distacco dalla lotta e dalle sue infatuazioni, un bisogno di assolute certezze che né gli eventi né i sentimenti possono dare …”.
Tuttavia la pubblicazione dell’opera fu respinta nel 1956 da Elio Vittorini, consulente prima per Mondadori e, nel 1957, per Einaudi, con una lettera dal seguente tenore
“Egregio Tomasi, il Suo Gattopardo l’ho letto davvero con interesse e attenzione. Anche se come modi, tono, linguaggio e impostazione narrativa può apparire piuttosto vecchiotto, da fine Ottocento, il Suo è un libro molto serio e onesto, dove sincerità e impegno riescono a toccare il segno in momenti di acuta analisi psicologica. Tuttavia, devo dirLe la verità, esso non mi pare sufficientemente equilibrato nelle sue parti. Voglio dire che seguendo passo passo il filo della storia di Don Fabrizio Salina, il libro non riesce a diventare… il racconto di un’epoca e, insieme, il racconto della decadenza di quell’epoca, ma piuttosto la descrizione delle reazioni psicologiche del Principe alle modificazioni politiche e sociali di quell’epoca. Il linguaggio, più che le scene e le situazioni, mi pare riveli meglio, qua e là, il prevalente interesse saggistico-sociologico del romanzo. Queste, in definitiva, sono le mie impressioni di lettore e gliele comunico pensando che, in qualche modo, potrebbero anche interessarLe”.
L’autore di Uomini e no e di Conversazione in Sicilia, ripeté il giudizio di condanna de Il Gattopardo innumerevoli volte; non volle mai cambiare parere sul libro di Tomasi di Lampedusa, mentre invece cambiò idea, pentendosi, sul Dottor Zivago di Pasternak e sul Tamburo di latta di Günter Grass, da lui entrambi respinti, intorno a quegli anni (1958-1959).
Bizze letterarie ! O forse uno degli effetti del clima della guerra fredda che coinvolgeva anche gli intellettuali più noti nello scontro per l’egemonia culturale. Una sorta di maccartismo al contrario ! Venuto per caso a conoscenza del manoscritto, Giorgio Bassani invece si adoperò molto per convincere l’editore Giangiacomo Feltrinelli a pubblicarlo nella collana “Biblioteca di letteratura”, che lo scrittore ferrarese dirigeva. E questo perché Bassani, che si apprestava ad indagare l’aristocratica psicologia dei Finzi-Contini, coglieva nel libro dello sconosciuto autore siciliano argomenti e temi esistenziali che già avevano improntato le sue storie ferraresi. Si riconosceva nella scrittura mai enfatica e dal registro ironico di Tomasi di Lampedusa, nella delusione e nel pessimismo di chi non crede alla favola del Risorgimento incarnata nell’avidità, nella rozzezza e nella vanità dei tanti Calogero Sedàra sparsi nello Stivale, moralmente e politicamente poveri, non in grado di mettere l’Italia al passo con l’Europa moderna. Pessimismo non nostalgico e nemmeno sterile perché ci fa percepire che la realtà storica è assai complessa e non sempre coincide col miglioramento della società.
Il Gattopardo, primo best seller italiano del ‘900, vinse il premio Strega nel ’59, battendo La casa della vita di Mario Praz e Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini e ritrovandosi al centro di uno dei più accesi casi letterari «politici» del Novecento italiano, accusato, tra l’altro, con miopia di essere un romanzo di ”destra”. Venne poi la consacrazione assoluta con l’uscita dell’omonimo film di Luchino Visconti, girato nel 1963 a Palermo e a Ciminna, vincitore della Palma d’oro come miglior film al 16º Festival di Cannes e selezionato tra i 100 film italiani da salvare..
Il romanzo, su cui sono state scritte migliaia di pagine di critica, fu steso dall’autore sedendo ad un tavolino all’interno del Bar Mazzara, tra Piazzale Ungheria e via Generale Magliocco che ha chiuso i battenti nel 2014 e presso l’adiacente Ristorante Charleston. Il distinto signore intento a riempire rigorosamente a mano i quinterni di carta protocollo divenne una figura familiare per i palermitani che frequentavano la zona e molti dei quali ne conoscevano l’estrazione aristocratica e il carattere schivo e riservato “ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone” ( I racconti, 5ª ediz., Milano 1993, p. 53.)
Al termine della giornata rientrava nell’abitazione di Palazzo Butera dove si era trasferito dopo la totale distruzione nel 1943 della residenza palermitana della famiglia nella strada che oggi ne porta il nome, a fianco dell’attuale Palazzo Branciforte, attuale sede della Fondazione Sicilia.
Nel grande appartamento affacciato sul mare di Palermo lo attendeva Alexandra Wolff Stomersee, l’aristocratica psicoanalista lettone sposata nel 1932 a Riga. Nel 1953 Tomasi di Lampedusa aveva iniziato a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali facevano parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Mazzarino. Con quest’ultimo instaurò un buon rapporto affettivo, tanto da adottarlo qualche anno dopo. Da quel momento in poi Gioacchino Lanza Mazzarino fu ribattezzato Gioacchino Lanza Tomasi.
Stroncato da un male incurabile, curiosamente anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a Roma nella casa della cognata in via San Martino della Battaglia n. 2, dove era andato per sottoporsi a particolari cure mediche che si rivelarono inefficaci. La salma fu inumata il 28 luglio nella tomba di famiglia al Cimitero dei Cappuccini di Palermo dove nel 1982 lo raggiunse la moglie.
Nell’anno in cui Palermo è Capitale italiana della Cultura ed a sessant’anni dalla pubblicazione de Il Gattopardo appare opportuno ricordare un grande interprete del passaggio d’epoca del proprio tempo, come lo era stato il protagonista del romanzo alle soglie dell’Unità d’Italia. Unitamente ad ogni iniziativa che l’Università degli Studi o altre istituzioni amministrative e culturali vorranno promuovere, potrebbe essere considerata la realizzazione di una scultura dinamica a grandezza naturale dell’ autore, intento a scrivere il romanzo ad uno dei tavolini del Bar Mazzara, altro luogo legato alla memoria dei palermitani.
L’istallazione potrebbe valorizzare ulteriormente l’isola pedonale di via Generale Magliocco. Con modalità analoghe in altre parti del mondo sono ricordati Sciascia a Racalmuto, Andersen in Central Park a N.Y, Wilde a Galway, Joyce a Trieste, Pessoa a Lisbona.
Sarebbe insomma come prendere un caffè con il Gattopardo ! Tutto così non finirebbe col passare del tempo in “un mucchietto di polvere livida”. Sarebbe invece una grande soddisfazione per i palermitani di ieri e di oggi, un ricordo duraturo per quelli di domani, una gradita sorpresa per le migliaia di turisti richiamati in città anche dalla fama quel grande romanzo e un grande tributo di gratitudine per un autore immortale di cui Carlo Bo nel 1959 scrisse: “La verità Tomasi l’ha studiata per conto suo e l’ha studiata in loco, soltanto frapponendo fra il dominio della natura e l’indagine interpretativa lo schermo della lontananza, adoperando la distanza come prima immagine del tempo. Solo così, grazie a questo stratagemma, la sua Sicilia del 1860-1880 assomiglia come una goccia d’acqua alla Sicilia d’oggi e meglio ancora il mondo che ci descrive corrisponde con le sue ansie, i suoi tormenti, con le se ombre chiuse e inviolabili al mondo in cui viviamo noi: ciò significa che il primo obiettivo d’ogni romanzo, la storia dell’uomo, è stato rispettato e affrontato con serietà, permettete come una necessità e non come un divertimento. Forse è per questa ragione che sin dalla prima lettura ci è sembrato che il romanzo dell’isolato e dell’irregolare Tomasi si mettesse da una parte, seppellendo senza volerlo troppa letteratura sperimentale fatta per compito e non per ordine interiore di libertà e di sincerità.”
(Le immagini riprendono le sculture di Oscar Wilde, Andersen e Pessoa, in ultimo la copertina della prima edizione del Gattopardo)