Migranti lavorano in un sito archeologico di Ragusa, Sebastiano Tusa: “Un progetto modello per la Sicilia intera”

0
5
Condividi su Facebook
Tweet su Twitter


Want create site? Find Free WordPress Themes and plugins.

Il 18 aprile scorso quattro tombe bizantine inviolate sono state rinvenute tra gli uliveti di Chiaramonte Gulfi, a Ragusa. A trovarle sono stati gli ospiti dello Sprar ragusano nell’ambito di un progetto sperimentale della Soprintendenza locale. Cinquanta extracomunitari che stanno lavorando alla campagna di scavi di una necropoli del IV secolo dopo Cristo tra ulivi e mucche, in contrada San Nicola Giglia dove una cooperativa onlus ha acquistato un terreno trasformandolo in azienda agricola e campo archeologico. “L’archeologia sposa lo sviluppo del territorio – dice il soprintendente Calogero Rizzuto – I nostri archeologi Anna Maria Sammito e Saverio Scerra guidano i ragazzi extracomunitari e insegnano loro non solo il valore del rispetto per il passato ma anche un lavoro”.

I 50 migranti sono impegnati nello scavo della necropoli, a turno, ogni giorno, sotto la guida di Francesco Cardinale, archeologo della cooperativa di Chiaramonte Gulfi. “I ragazzi coinvolti – dice il presidente Gianvito Distefano – sono 50, tutti dai 18 ai 25 anni, richiedenti asilo con protezione internazionale e guadagnano una borsa lavoro di 400 euro al mese, oltre a un attestato di partecipazione allo scavo tecnico. Completano la squadra due minori, che il Tribunale di Catania ha assegnato alla missione, come misura di recupero alternativa al carcere. A tutti, ha sottolineato il Soprintendente Calogero Rizzuto, “i nostri archeologi insegnano il valore del rispetto per il passato, ma anche un lavoro”. Nuove visioni, nuove prospettive: se inizialmente i giovani africani continuavano a chiedersi “perché dobbiamo disturbare il sonno dei morti?“, qualcuno ha presto raccontato loro che – separando convinzioni religiose e indagine scientifica – di quei corpi si poteva apprendere qualcosa di importante, ricostruendone storia, identità, età, cause di morte. Un balzo all’indietro, fino alla vita, a partire da ciò che riposa, che è invisibile, che si è fatto polvere e frammento.

Sono già state rinvenute 20 tombe e due sarcofagi, oltre a 4 sepolcri ancora chiusi; la cooperativa sta predisponendo un sistema video per ragioni di sicurezza ma anche per registrare l’entusiasmo dei ragazzi impegnati nello scavo accanto agli archeologi della Soprintendenza. Un bel progetto sperimentale che unisce la questione dei migranti all’impegno per la ricerca, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali: accade quando i beni culturali diventano veicolo di integrazione, strumento di convivenza civile, contenitore di storie attuali e di occasioni future. Nel sito si lavora, sotto il sole già rovente della primavera, per portare alla luce i resti di quell’antichissimo sommerso, ennesimo frammento dell’immenso patrimonio custodito nel ventre della nostra Isola. E in mezzo alla terra, agli arbusti e ai sassi si contano decine di occhi speranzosi, euforici, quelli, appunto, dei giovani migranti.

Per il neo assessore ai Beni Culturali Sebastiano Tusa, già Soprintendente del Mare, nonché stimato archeologo, quella di Ragusa è un’esperienza esemplare : “Un progetto modello per la Sicilia intera”. E davvero di un modello virtuoso si tratta, tra sviluppo del territorio, politiche per l’integrazione, misure di inclusione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico. Fare bene si può e si deve, nel nome di una cura necessaria: per le persone, per le comunità, per i luoghi, per la conoscenza. E così la Sicilia, dalla sua aspra trincea affacciata sui disastri del Mediterraneo, con questa piccola storia indica una direzione, ma soprattutto una logica possibile in fatto di immigrazione. Oltre l’intolleranza diffusa che non si è fatta attendere: i giovani archeologi siciliani non ci stanno e tante sono le polemiche sui social: commenti stizziti, sarcastici, insofferenti, persino infuriati, al margine della notizia pubblicata sulla pagina Facebook del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Il problema? Riassumibile in un paio di slogan, molto in voga ultimamente: “prima gli italiani” e “gli immigrati ci rubano il lavoro”. E stavolta, a parlare, sono anche archeologi in cerca di un impiego o in attesa di adeguamenti contrattuali, stanchi – giustamente – per una situazione che non decolla, mentre anni di studio si infrangono contro le difficoltà di inserimento professionale.

“Una cosa indecente!”, scrive Cristina, “Dopo anni di formazione, noi archeologi siamo costretti a trovarci altri lavori. Spesso dobbiamo lavorare gratis perché il volontariato va così di moda che la nostra professione è ridotta a questo. E adesso fare l’archeologo è un mestiere da insegnare ai migranti? Senza laurea, competenze, formazione?!”. Le fa eco Colette: “Voglio vedere quanto buonismo si sfodererebbe se iniziassero a utilizzare migranti diciottenni per assistervi come medici in ospedale o come avvocati in tribunale”, mentre Renato la butta in politica: “che vadano in Egitto che la c’è da scavare e lascino ai disoccupati italiani la possibilità di diventare archeologi..certo che il Pd dei centri sociali vuole giocare con l’intelligenza degli italiani”. Vi Enne scrive: Un “progetto di inclusività” dovrebbe impiegare tali risorse per svolgere mansioni per le quali non ci vogliono titoli o anni di formazione/esperienza, ad esempio volontariato nelle mense, negli ospizi, nella pulizia dell’ambiente! Il mondo della cultura è diventato una barzelletta! Durissimo Massimiliano, che tira fuori un perfetto bouquet di frasi fatte: “semplicemente qualche zecca mondialista si è infiltrata nel dipartimento e ne approfitta per fare le sue stronzate ideologiche”, e ancora, “con tutti i laureati siciliani in archeologia e storia che ci sono disoccupati fate lavorare i clandestini!”. Buonismo, mondialismo, clandestini e zecche rosse. Addirittura.

Non si è fatta attendere però nemmeno la risposta dell’Assessore Tusa: “I commenti negativi, a proposito del coinvolgimento di extracomunitari nelle ricerche archeologiche in Sicilia, mi amareggiano per due motivi. Da un lato perché evidentemente si critica prima di conoscere effettivamente la realtà. Non credo, infatti, che siano stati impiegati extracomunitari dando loro mansioni e prerogative di archeologo, bensì di operaio addetto allo scavo archeologico che è cosa ben diversa. In secondo luogo perché guardare a chi ha sofferto ed è molto più svantaggiato di noi con atteggiamento ostile è qualcosa di contrario alla mia sensibilità”.

Gli fa eco il professore Scerra, a capo dell’equipe. Che chiarisce: “I richiedenti asilo fanno attività di cantiere, puramente manuali. Le condizioni economiche della Regione non sono delle più felici, i fondi per la ricerca mancano e i giovani si lamentano. Ma è anche vero che noi, di una o due generazioni precedenti, siamo stati allievi di grandi professori, abituati a selezionare in modo un po’ ‘aristocratico’, in un contesto di alta accademia. Per noi era difficile fare esperienze con le Soprintendenze, entrare nei circuiti professionali. E proprio per questo oggi proviamo a invertire la tendenza: diamo possibilità a tutti di fare esperienza diretta. Accogliamo stagisti, studenti, stabiliamo convenzioni con Università e istituti di ricerca italiani e stranieri, e così con cooperative e associazioni locali. Le porte sono aperte a chiunque voglia crescere, studiare, imparare”.

I ragazzi dello Sprar, dunque, sono solo apprendisti operai. Preziosa manovalanza. E sono soprattutto persone con storie difficili, di fuga, di lutto, di sofferenza: il dovere dell’accoglienza e lo sforzo per condurre politiche di integrazione, anche attraverso la cultura, dovrebbero essere punti cardine di ogni moderno sistema sociale.

“Che un messaggio di questo tipo arrivi anche da un governo di centrodestra fa ben sperare e sovverte qualche cliché di troppo a proposito di immigrazione”, scrive Helga Marsala, critico d’arte, giornalista, dalle pagine di ArtTribune: “basti pensare al PON Legalità e Sicurezza appena siglato dalla Regione Siciliana con il Ministero degli Interni: tra le molte misure messe in campo, per oltre 200 milioni di euro stanziati, anche azioni finalizzate alla creazione di percorsi di inclusione sociale e lavorativa per gli immigrati regolari, richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale”. Qualche esempio: servizi di alfabetizzazione, assistenza sanitaria, supporto psicologico, medico e legale, formazione per offrire competenze e orientamento circa le prospettive future del mercato del lavoro. Una cornice importante, a cui l’esperienza dello SPRAR di Ragusa sembra rispondere con perfetta convergenza di obiettivi e strategie.

“Tuttavia concordo pienamente”, aggiunge Tusa, “con il grido di allarme dei tanti giovani archeologi che non ricevono dalle istituzioni quelle gratificazioni che meritano e di cui abbiamo tanto bisogno per rilanciare e gestire al meglio la ricerca, la tutela e la valorizzazione del nostro ingente patrimonio archeologico. Non faccio promesse facilmente smontabili, ma certamente non mancherà il mio impegno per creare le condizioni affinché si possa creare lavoro qualificato e adeguata occupazione per questo grande prezioso bacino di intelligenze archeologiche oggi purtroppo maltrattato”.

La consapevolezza del problema è forte in chi – rivestendo oggi un ruolo politico – arriva proprio da quel mondo ma con l’autorevolezza dello studioso: eserciti di giovani professionisti della cultura attendono spazio, voce, attenzione, con sacrosanta impazienza. E però, riversare rabbia e frustrazione su chi sta radicalmente peggio è roba che squalifica, che immiserisce; condividere e supportare processi di inclusione, apertura, scambio, integrazione, resta il vero valore aggiunto, se la cultura è un valore.

Did you find apk for android? You can find new Free Android Games and apps.


LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome:

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.