Catania, Teatro: “Sperduti nel buio” (Nino Martoglio assassinato.. e non è solo finzione scenica)

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Nino Martoglio, giornalista, poeta e commediografo di solida fama nazionale, muore il 15 settembre 1921, a soli 51 anni, precipitando nel pozzetto dell’ascensore in costruzione dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Le indagini, forse frettolose e pigre, non chiarirono a sufficienza le cause della caduta e del decesso. E conclusero che si era trattato di un incidente. Invece fu un agguato, quindi assassinio. La tesi per niente allegorica dà proprio inizio allo spettacolo “Sperduti nel buio” su un testo di Nino Bellia e per la regia di Elio Gimbo, in scena a FabbricaTeatro, un singolare palcoscenico ricavato in un ex storico negozio di ferramenta in via Caronda a Catania. Martoglio precipita nel sottosuolo claustrofobico catanese e, come Dostoevskji, incontra i suoi personaggi popolani come don Procopio e Cicca, perde la memoria e si crede D’Artagnan come reminiscenza del giornale satirico dallo stesso nome che aveva fondato. Osserva la storia futura della città e della Sicilia che scorre in immagini montate in un collage come un videoclip, storia intrisa di sangue e sopraffazione. Diventa infine Pippo Fava in un grande specchio, che rimbalza da un’incredibile somiglianza somatica e di gesta legate al teatro e al giornalismo d’inchiesta sino a una morte gemella e cruenta, “da agnelli sacrificali – scrive Elio Gimbo nelle sue note di regìa – divorati da belve randagie nella città che sognavano di riscattare”. Dunque un nuovo martirio di un poeta sull’ara sacrificale italiana, di un intellettuale irriverente che come Fava o come Pasolini o Peppino Impastato non aveva esitato ad aprire la porta a verità scomode, a denunciare complicità tra poteri criminali e politica, a prendersi gioco di chi comanda. Ma perché uccidere Martoglio? E quale sarebbe il movente? Gimbo, che proviene da esperienze romane e dalla Bottega di Proietti, assieme  a Gianni Nicotra, avvocato ed esperto videomaker, ha esaminato carte processuali dell’epoca, compiuto ricerche documentali, consultato specialisti e promette eclatanti rivelazioni su un giallo storico che investe i contrastanti rapporti tra intellettuali e potere, spesso conclusi nel sangue innocente. L’artista catanese era un ingegno poliedrico. Non solo autore di teatro e poeta dialettale, ma pioniere del cinema a Roma dove si trasferì, causa un rapporto di odio-amore con la sua Catania, produttore teatrale e direttore di compagnie, una sorta di Paolo Grassi dell’epoca. Da editor, lanciò il giovane D’Annunzio e tradusse in siciliano “La figlia di Iorio”. Nonché antifascista dichiarato in tempi di scontri nelle strade con vittime che preludevano al funesto avvento di Mussolini. Ma perché uccidere Martoglio? La soluzione di un giallo storico annunciato potrebbe aprire nuovi scenari sul recente passato siciliano e nazionale. In scena i pupari Napoli, padre e figlio, Giuseppe Carbone nel ruolo del poeta, Cosimo Coltraro è un convincente don Procopio, Cinzia Caminiti  la popolana e Sabrina Tellico è Cicca. Scene di Bernardo Perrone.

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