Leonardo Sciascia avrebbe compiuto 97 anni. Era nato, infatti, il 7 gennaio del 1921. Non si può pretendere l’immortalità, né per tutti una longevità quasi centenaria; ma Leonardo Sciascia, spentosi quasi trent’anni fa nel novembre del 1989, ci manca e c’è mancato tantissimo.
Ci manca la sua lucidità in un momento della nostra storia così opaco. Ci manca il suo coraggio civile oggi carente in troppi contesti, compreso quello culturale. Ci manca il suo spirito autenticamente laico e anticonformista in tempi di dilagante omologazione conformista. Ci manca la sua scrittura, semplice e ricercata, in un universo editoriale declinante verso la mediocrità.
Che Leonardo Sciascia sia stato dimenticato, non lo si può dire. Citarlo fa tendenza. Quando i media trattano la Sicilia, lo rievocano spesso. Purtroppo, però, tante volte in modo inappropriato e non di rado strumentalmente. Non è il solo tra i letterati siciliani a subire questa sorte beffardamente avversa: si pensi, ad esempio, a Giuseppe Tomasi di Lampedusa il cui Gattopardo – uno dei maggiori capolavori del nostro Novecento e miniera di sociologia letteraria– si riduce oggi, nella considerazione comune, a paradigma romanzesca del trasformismo.
Si cita Sciascia per rimarcare l’irredimibilità dei siciliani, ponendo l’accento sul suo pessimismo. Ma Sciascia era sì pessimista – “pessimismo della ragione”, per usare un’espressione attribuita a Gramsci -, ma non al punto di soffocarne la voglia di scrivere e di intervenire nel dibattito pubblico manifestando le sue posizioni, il più delle volte indigeste a tanti. Un pessimista non si sarebbe mai messo tutti, o quasi tutti, contro per affermare le sue verità.
Sciascia fu tra i primissimi, tra gli uomini di lettere, ad occuparsi di mafia. Ma fu sempre garantista. Non accettava la retorica e le posizioni strumentali. La sua polemica sui “professionisti dell’antimafia” (quell’articolo apparso sul “Corriere della Sera”, però, col senno del poi, andava riscritto cassando almeno uno degli esempi richiamati) ha trovato, purtroppo oggi assai congruo riscontro. Bertold Brecht diceva che “infelice è quel popolo che ha bisogno di eroi”. La Sicilia è più che infelice: due integerrimi e capacissimi magistrati, Falcone e Borsellino, sono stati giustamente innalzati nell’olimpo degli “eroi”, ma quotidianamente sono strumentalizzati da una parte o dall’altra. Anche le lungimiranti parole di Sciascia sulla retorica dell’antimafia vengono utilizzate per fini di parte, distorte e piegate da interessi specifici. Così come il suo garantismo – genuino, cristallino, super partes – è richiamato con intenti non certo encomiabili.
Antonino Cangemi