Se si dovesse scegliere un aggettivo per definire l’ultimo romanzo di Michele Iacono, “Checkpoint Charlie” edito da Hoffmann & Hoffmann, opteremmo per “inquietante”. Inquietante è la trama, inquietanti sono i personaggi che lo popolano, inquietante è lo spirito che lo pervade.
Come a molti noto, Checkpoint Charlie era un posto di blocco, costruito col muro di Berlino, situato all’incrocio tra la Germania sovietica e quella statunitense. Il romanzo di Iacono, però, non è ambientato in Germania né fa richiamo alla storica suddivisione di quel paese. Checkpoint Charlie qui assume un rilievo allegorico: indica il confine, il luogo che segna un limite che è vietato attraversare. Infatti, la storia di Giuliano Federici, il protagonista del romanzo, ruota attorno al mistero che evoca la soglia del confine e allo sgomento, unito al desiderio, di varcarla.
Giuliano Federici è un artista fallito che, per sbarcare il lunario, dipinge quadri di maniera da vendere per pochi soldi, ammesso possa riuscirci, nei mercatini della sua Torino. Un giorno, gli si fa vivo un noto impresario d’arte, che sino ad allora lo aveva ignorato; inaspettatamente, gli propone di promuovere i suoi quadri nelle gallerie che contano. Da quel momento, la vita di Federici cambia del tutto: da pittore sconosciuto diventa un artista affermato e osannato nei salotti più elitari di tutt’Italia. Federici varca il confine tra l’anonimato e il successo; un confine labilissimo se il punto di delimitazione dovesse essere segnato da fattori meramente estetici: i quadri che gli regalano ricchezza e notorietà sono da lui stesso ritenuti men che mediocri, dipingono la disperazione degli immigrati speculando sul dramma sociale del momento. Per Federici, si apre, d’incanto, un nuovo corso della propria esistenza: gira per la Penisola partecipando alle varie mostre allestite per suo conto e conosce, nelle grandi città che si contendono i suoi “capolavori” – Milano, Palermo, Napoli, Firenze, oltre naturalmente la sua Torino -, il sordido e ambiguo universo dei notabili più in vista: politici influenti, alti prelati, chierici prezzolati, massoni potenti. Con loro e con figure pittoresche incontrate lungo la strada nel suo girovagare per le città, Federici rimane prigioniero di una realtà al limite del reale e ai confini della liceità morale. In questo contesto, in Federici s’insinua un cinico opportunismo fecondato da un’indifferenza già in lui presente e ravvivata dalle situazioni borderline che va vivendo. Nel nichilismo etico e nel vuoto che soffoca il mondo- per molti aspetti surreale- in cui la notorietà lo ha condotto, l’artista è reso inquieto da alcuni dilemmi: che cosa vi è oltre il confine? Troverà il coraggio di superare quel filo spinato su cui cammina con precario equilibrio? Vi è posto in quegli involucri di materie maleodoranti che sono gli uomini per l’anima, e se sì dove?
Con “Checkpoint Charlie”, lo scrittore di Termini Imerese conferma, al suo secondo romanzo, talento narrativo visionario. Il suo –ribadiamo- è un romanzo inquietante, che ci offre un quadro a tinte forti e scabrose della società in cui viviamo e, in particolare, del potere e delle sue perverse manifestazioni. Nel romanzo, particolare risalto è riservato al sesso, praticato nei modi più vari e al limite –quando non oltre – delle soglie della moralità; sesso espressione dell’esercizio del potere e delle deviazioni a cui il potere conduce, in ciò richiamando la denuncia pasoliniana di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. A ciò si aggiunga, e ne moltiplica la carica inquietante, il senso di morte che in “Checkpoint Charlie” aleggia, messo in rilievo dalla psicologa Susanna Casubolo nella prefazione.