Processo trattativa Stato-Mafia, i segreti del bunker. Vinse il ricatto dei corleonesi?

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E’ in corso in questi giorni nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, dinanzi la Corte di Assise, la requisitoria dei P.M. della Procura della Repubblica di Palermo, nel c.d. processo trattativa Stato- Mafia, processo che vede imputati ex ufficiali del ROS dei Carabinieri, politici e mafiosi. Agli imputati viene contestato il reato di cui all’art. 338 c.p. (violenza o minaccia ad un Corpo politico ,amministrativo o giudiziario). Tale articolo punisce con la reclusione da uno a sette anni chiunque usi violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività.

Secondo l’impianto accusatorio i politici e gli ufficiali avrebbero ceduto al ricatto della mafia corleonese così agevolando il condizionamento delle istituzioni da parte dei boss mafiosi. In particolare, allo scopo di ottenere la fine delle stragi, ufficiali del ROS dei Carabinieri, con l’avallo dei politici e quindi dello Stato, avrebbero intavolato una trattativa con Riina che a tal fine aveva fatto pervenire, tramite Vito Ciancimino, una serie di richieste condensate nel cosiddetto “papello”

Si legge nella memoria depositata dai pubblici ministeri : ”Secondo la ricostruzione emersa dalle risultanze finora acquisite, la trattativa, dal lato di Cosa Nostra, venne originariamente gestita direttamente dall’odierno imputato Salvatore RIINA, all’epoca capo assoluto del sodalizio mafioso, mentre, da parte dello Stato, venne condotta da alcuni alti ufficiali dei Carabinieri ovvero il Comandante del ROS Gen. Antonio SUBRANNI, il suo Vice Col. Mario MORI e il Cap. Giuseppe DE DONNO, a loro volta investiti dal livello politico (ed in particolare dal sen. Calogero MANNINO, all’epoca Ministro in carica ed esponente politico siciliano di grande spicco), che contattarono Vito CIANCIMINO – a sua volta in rapporti con Salvatore RIINA per il tramite di Antonino CINA’ – nel 1992, nel pieno dispiegarsi della strategia stragista”. Calogero Mannino, in primo grado, è stato assolto dall’accusa per non aver commesso il fatto.

In sostanza secondo l’accusa, le “ambasciate” che Riina faceva pervenire allo Stato, si risolvevano nella minaccia di proseguire nella strategia stragista qualora non fossero state accolte alcune richieste di benefici in favore di Cosa Nostra, richieste contenute nel c.d. “papello” che , secondo le dichiarazioni di più collaboratori, Cosa Nostra aveva fatto recapitare ai suoi “interlocutori” istituzionali per ottenere, in tal modo, i benefici in cambio dei quali avrebbe posto fine alla strategia omicidiaria avviata nel 1992 (v. memoria depositata dai Pm al Giudice per le indagini preliminari)

Saranno i giudici a stabilire se nella condotta degli imputati siano ravvisabili gli estremi dell’ipotizzato reato di cui all’art.338 c.p. Qui occorre chiarire in cosa consiste tale reato, peraltro di non frequente ricorrenza.

Soggetti passivi delle minacce o delle violenze possono essere, secondo il dettato legislativo, i corpi politici, amministrativi o giudiziari. Corpi politici sono quelli che esercitano preminentemente una funzione politica o di governo, come ad esempio il Consiglio dei Ministri. Sono esclusi quei poteri ed organi autonomamente tutelati da altre disposizioni penali, quali ad esempio il Governo, il Senato, la Camera dei deputati, la Corte Costituzionale, le Assemblee Regionali. In relazione a tali organi troverebbe infatti applicazione l’art. 289 c.p. che punisce l’attentato contro organi costituzionali e contro le Assemblee regionali.

Per Corpi amministrativi devono intendersi le autorità amministrative collegiali che istituzionalmente svolgono funzioni amministrative come il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, i consigli comunali e provinciali e le rispettive giunte.

Corpi giudiziari sono invece i collegi che esercitano i poteri giurisdizionali, comuni o speciali, permanenti o temporanei, come la Corte di Cassazione, le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, i Tribunali amministrativi Regionali, i Tribunali militari, le Corti di Appello, i Tribunali ordinari. Il reato di cui all’art. 338c.p. quindi, come affermato dalla Cassazione, si realizza soltanto nei confronti di soggetti costituiti in collegio.

La violenza o la minaccia oltre che essere usata contro tutto il corpo, può anche essere esercitata contro i singoli membri dello stesso (violenza o minaccia indiretta), ma in tal caso, ai fini della configurabilità del reato, essa deve essere idonea ad impedire o turbare l’attività dell’intero collegio il quale non potrebbe funzionare in modo normale senza il concorso regolare di tutti i suoi componenti. Sempre secondo la Cassazione, non è richiesto ai fini della configurabilità dell’ipotesi criminosa in questione, che la minaccia sia usata in presenza dell’organo collegiale riunito né che l’autore della violenza o minaccia consegua lo scopo che si era prefissato. Con il termine violenza si fa riferimento sia alla violenza fisica che alla violenza morale cioè ad ogni mezzo che sia idoneo a determinare una coazione fisica o psichica mentre la minaccia consiste nella intimidazione rivolta a taluno di attuare un male ingiusto, prossimo o futuro. Si tratta in altri termini di una violenza morale volta a limitare la libertà psichica di un soggetto.

Il fatto deve essere idoneo a produrre l’effetto di impedire o turbare l’attività di corpi o collegi. Quando si tratta di corpi politici, amministrativi o giudiziari quindi la violenza o la minaccia deve essere diretta ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente, l’attività, ovvero a turbare comunque l’attività medesima. Mentre l’impedimento riguarda la libertà di agire, il turbamento si ha allorquando si creino le condizioni oggettive o soggettive tali da alterare il normale svolgimento delle funzioni proprie del Corpo. Non si esige peraltro che l’impedimento o il turbamento voluto si sia effettivamente verificato o che la pressione sulle deliberazioni abbia prodotto il suo effetto; quindi il reato si configura indipendentemente dal conseguimento del fine che il colpevole si prefigga. Ai fini della competenza per territorio infine il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si sia concretizzato un fatto di violenza o di minaccia diretto contro uno dei Corpi indicati nell’art. 338 c.p.

Alla stregua dei principi sopra delineati si può affermare che gli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia siano responsabili del reato di cui all’art. 338 c.p.? Questo ce lo diranno i giudici con la loro sentenza.

 

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