Governo, il profilo misterioso del Presidente. E il rischio di una figuraccia

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Domenica il M5S con gazebo nelle più importanti piazze italiane cercherà di spiegare ai cittadini il contratto stipulato (o in corso d’opera) con la Lega per governare il Paese più a lungo possibile. Al Capo dello Stato lo stato maggiore pentastellato ha dato copia del contratto, almeno nei suoi punti salienti. Il nome del Presidente del consiglio resta una carta coperta, Sul nome non pare che sia stato individuato il profilo della figura “politica” che vada bene ad entrambi i partner.

Il “contratto” offre molti argomenti per persuadere i cittadini nei gazebo. E’ un elenco di cose da fare e di scelte significative, che hanno il compito di dare la misura del cambiamento, “epocale” secondo i protagonisti, che il governo s’impegna a realizzare, dal fisco all’emigrazione, dal diritto di cittadinanza alle pensioni ecc.

Ciò che tuttavia sarà difficile spiegare nei gazebo è il profilo del Presidente del consiglio che Salvini e Di Maio si sono impegnati a scegliere di comune accordo. Le ragioni della difficoltà sono tante, e scaturiscono principalmente dall’identikit disegnato, dalla natura di “soggetto politico” e dalla sua individuazione successiva alla stipula del “contratto” elaborato al tavolo della trattativa.

Di Maio e Salvini hanno più volte ripetute che intendono far nascere un governo politico, di non volere ripetere esperienze di governi guidati da tecnici, come Mario Monti. Scartare a priori un tecnico e puntare su un personaggio politico con un brillante cursus honorum, indipendente, e senza precedenti simpatie e militanze, non è affatto semplice.

La rosa dei professori e dei manager “illustri”, sprovvisti di relazioni politiche, non è affatto ampia. Ogni proposta può essere messa in discussione dalla controparte abbastanza agevolmente, perché non c’è chi non abbia avuto esperienze di governo o al vertice di aziende, per scelta di una parte politica. Immaginiamo quanto sia stato laborioso il lavoro di “scarto” in questa fase della trattativa, e quanto sia duro trovare un profilo che oltre a rispettare i paletti dei due partiti, debba superare l’esame-finestra del Quirinale.

Per avere un’idera di ciò che è accaduto attorno al tavolo, forse occorre ricordare quei film americani che mostrano la dura selezione che impongono pubblica accusa e difesa nella scelta della giuria popolare. In più, nella fattispecie, il profilo deve essere illuminato da una carriera brillante e senza “incidenti”di percorso. L’ago nel pagliaio? Non proprio, ma quasi…

Se vogliono un Presidente politico che vada bene ad entrambi i partner e sia indipendente, senza macchia, senza simpatie e senza paura, dovranno sudare le proverbiali sette camicie.

Ad aumentare il tasso di difficoltà c’è una circostanza davvero singolare: la scelta del premier non precede il “contratto” ma segue la sua stipula. E’ come se si pretendesse che il principale “attore” del contratto non  avesse voce in capitolo sulle clausole, e avesse il compito di “eseguire”, sic et simpliciter.

In questo cul de sac Di Maio e Salvini ci sono cacciati da soli, annunciando le loro intenzioni con grande enfasi. Fra il dire e il fale, com’è noto, c’è di mezzo il mare.

Se non saranno abbandonate le parole d’ordine c’è il rischio di una figuraccia esiziale o di un tradimento delle intenzioni fin qui dichiarate, eventualità anche questa, che potrebbe far molto male ai dioscuri del patto.

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