2/ Scieri, i clamorosi tentativi di depistaggio: suicidio, incidente, omicidio colposo e…

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Il suicidio è un “classico” nell’ampia casistica dei tentativi di depistaggio. La storia del crimine ne contiene un numero elevato, tanto che quando viene avanzata l’ipotesi di suicidio per un fatto di sangue, anche se gli elementi in possesso degli inquirenti sembrano inoppugnabili, il sospetto che si tratti d’altro resta sullo sfondo.

Quando è stato ritrovato, privo di vita, Emanuele Scieri nella caserma Gamerra della Folgore, a Pisa, il suicidio fu subito avanzato e trovò sostenitori risoluti. E quando esso divenne insostenibile per una serie di indizi incontrovertibili e per la stessa personalità del “suicida”, allora venne affacciata l’ipotesi dell’incidente, capitato al soldato a causa della voglia di provare la sua forza e la sua agilità. Caduta anche questa ricostruzione, gli inquirenti dovettero ammettere che il giovane siracusano fosse stato assassinato. A causa di uno “scherzo” pesante, magari. Avrebbe pagato la pratica del nonnismo, molto in voga nel 1999 nella caserma della Folgore. Una sfortunata circostanza, una disgrazia.  Omicidio preterintenzionale, dunque. Siccome mancavano le facce dei colpevoli, coperti dall’omertà, o meglio dalla “consegna” del silenzio, che sembrava imperare nella caserma, prevalse l’ipotesi di omicidio colposo ad opera di ignoti.

Il caso venne perciò archiviato. Sarebbe stato impossibile riaprirlo senza la tenacia della Commissione parlamentare d’inchiesta e, precipuamente, della sua Presidente, Sofia Amoddio: l’onorevole indossò i panni dell’investigatore, del magistrato, del parlamentare inquirente, e giorno dopo giorno, finì con lo scoprire tutti i buchi delle indagini fino ad allora espletate e, soprattutto, le ambiguità della catena di comando.

“La Commissione ha cercato di aprire quelle porte che ancora erano rimaste chiuse, trovando nell’amministrazione della Difesa, piena collaborazione e disponibilità”, dà atto la Presidente. “Una apertura evidenziata dalla piena e fattiva disponibilità di tutti gli attuali vertici militari della Caserma Gamerra di Pisa, della Brigata Folgore, dello Stato Maggiore della Difesa a collaborare in maniera costruttiva nella ricerca della verità e nell’acquisizione di atti e documenti a tal scopo utili.”

Il crimine sarebbe rimasto negli archivi polverosi del Tribunale se non fosse prevalsa la volontà di raggiungere la verità e fare giustizia.

“Gli elementi oggettivi riscontrati dalla Commissione, afferma Sofia Amoddio, a conclusione del suo lavoro d’indagine, “consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele  Scieri , scalando la torretta, tesi  che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggerirono alla magistratura”.

“La Commissione ha accertato, attraverso la consulenza cinematica di tecnici specializzati, che  la presenza di una delle scarpe dello Scieri ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri é stato aggredito prima di salire sulla scaletta”.

“La zona dove è stato ritrovato il cadavere di Emanuele Scieri non era una zona del tutto isolata, ma era presidiata da anziani che la utilizzavano come spazio di rifugio e di svago”. osserva Sofia Amoddio. “Si trattava di una zona franca, in parte esente da regole e controlli ed appare molto improbabile che i vertici militari non sapessero cosa accadesse in quell’area”.

“La commissione ha fatto emergere le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo ed ha rintracciato elementi di responsabilità depositandoli presso la Procura della Repubblica di Pisa. Il quadro delle dinamiche all’interno della Caserma all’epoca della morte di Emanuele Scieri, così come ricostruito dall’inchiesta della Commissione, ha messo in evidenza due aspetti diversi e complementari del problema della disciplina: da un lato una altissima, sorprendente tolleranza verso comportamenti di nonnismo, nettamente in contrasto con i regolamenti militari vigenti, il carattere diffuso e noto di comportamenti trasgressivi; dall’altro l’esistenza di una sorta di disciplina parallela, legata non ai regolamenti formali ma ai concetti di consuetudine e tradizione. Una sorta di regolamento non scritto, che normando la relazione gerarchica fra i militari si trasmetteva in modo informale e definivo codici di comportamento reciproco e libertà d’azione degli allievi”.

“Errori grossolani e responsabilità evidenti riguardano il contrappello della sera del 13 agosto 1999 quando i militari addetti, pur avendo saputo da alcuni commilitoni dello scaglione di Scieri, che Emanuele quella sera era rientrato in caserma, non annotarono le informazioni ricevute nel rapportino della sera e liquidarono l’assenza di Scieri consegnando all’ufficiale di picchetto il rapporto con la dicitura “mancato rientro” anziché “non presente al contrappello”.

“Con la giusta dicitura si sarebbero potute disporre immediate ricerche all’interno del perimetro della Gamerra, cosa che invece non avvenne. La Commissione non condivide le motivazioni che condussero la Procura a richiedere l’archiviazione per omicidio colposo nei confronti degli addetti al contrappello che omisero di effettuare una qualsivoglia ricerca di Emanuele Scieri”.

I commissari non avevano una tesi precostituita, per due anni hanno ascoltato testimonianze, analizzato documenti, valutato comportamenti, ripercorso punto dopo punto il percorso delle indagini svolte dalla magistratura militare e da quella civile. La morte violenta del soldato Scieri in definitiva ha messo in luce un contesto di paura, interessi, superficialità, omertà. Affiorano colpe e responsabilità spaventose. Che vale la pena di raccontare. A cominciare dalla clamorosa scoperta che nella caserma si faceva spaccio di droga. Una circostanza che potrebbe costituire il reale movente di un delitto efferato.

 

(Continua)

Prima puntata: https://siciliainformazioni.com/sparlagreco/744617/1-lele-scieri-come-giulio-regeni-ammazzato-in-una-caserma-dellesercito-17-anni-fa-ora-la-verita

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