“La proposta di Grasso, in quanto misura rivolta alla realizzazione del diritto allo studio, è certamente interessante e merita un’approfondita discussione. Naturalmente deve essere verificata a monte la sua sostenibilità economica, dal momento che il complesso delle tasse universitarie assomma a poco meno di due miliardi di euro, per l’Università di Palermo circa 36 milioni di euro”. Così il rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, commenta con l’Adnkronos la proposta lanciata dal presidente del Senato e leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso, di abolire le tasse universitarie.
“In Germania non si pagano tasse ma lo Stato federale e i Land sostengono gli Atenei in modo molto diverso rispetto a quanto avviene in Italia” puntualizza il numero uno dell’Ateneo di Palermo, per il quale resta “la perplessità che questa misura verrebbe a favorire, comunque, le fasce della popolazione con un reddito medio alto, mentre quelle con reddito basso continuerebbero ad avere grandi difficoltà nel mantenere i loro figli negli studi”.
Ecco perché, secondo Micari, sarebbe “più ragionevole puntare su altre forme di sostegno al diritto allo studio, rendendo più sostenibili i costi per gli alloggi, per i trasporti e per i libri degli studenti meno abbienti”.
Un abbassamento del livello dei servizi e il rischio, più che concreto, di un aumento dei fuoricorso con gli Atenei trasformati in una sorta di ‘parcheggio’ per giovani poco motivati e alla ricerca di un lavoro. La proposta del presidente del Senato e leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso, di abolire le tasse universitarie, non scalda il rettore dell’Ateneo di Catania, Francesco Basile.
“Il sistema universitario si fonda su due fonti di finanziamento – dice all’Adnkronos -: il Fondo finanziario ordinario, che negli ultimi anni è andato progressivamente decrescendo, e i contributi degli studenti, che nella nostra realtà pesano per un quinto del totale delle risorse finanziarie. Abolire le tasse sarebbe possibile solo nella misura in cui il ministero riuscisse a incrementare la quota di finanziamento statale”.
Insomma per il rettore dell’Università di Catania si potrebbe discutere della proposta del numero uno di Palazzo Madama solo “se si trovassero le risorse per incrementare il Fondo finanziario ordinario. Ma ho seri dubbi che queste risorse ci siano”. L’operazione per il leader di LeU costerebbe 1,6 miliardi di euro, soldi che dovrebbero arrivare, allora, puntualizza Basile, dalle “tasse degli italiani, anche da quelle famiglie che non hanno figli all’Università e che, quindi, pagherebbero per l’istruzione dei componenti di altri nuclei familiari. Una cosa che, sinceramente, non mi sembra giusta”.
Anche perché, è la tesi del rettore di Catania, i meno abbienti sono “tutelati” dal sistema universitario. “Con la legge di stabilità di Gentiloni – dice Basile – è stata introdotta la no tax area”, in base alla quale le famiglie con un reddito di 13mila euro annui non pagano nulla e la contribuzione cresce poi in maniera proporzionale al reddito percepito.
“Nell’ultimo anno – spiega il rettore – abbiamo adottato questo sistema che funziona bene e incentiva i ragazzi perché a partire dal secondo anno si valuta non solo il reddito familiare ma anche il rendimento degli studenti”. Al contrario abolire le tasse universitarie per Basile significherebbe “abbassare il livello dei servizi resi agli studenti. E’ giusto che l’Università sia di tutti, ma il meccanismo attuale la rende già accessibile a tutti”.
Il rischio altrimenti è che negli Atenei si iscrivano anche “tanti ragazzi poco motivati, per i quali gli studi universitari sono un ripiego in attesa di un lavoro, che non arriva. In questo modo – conclude Basile – potrebbero aumentare anche i fuoricorso che finirebbero con il gravare sul sistema universitario senza andare avanti negli studi e sulle famiglie per i costi di vitto e alloggio”.
(Loc/AdnKros)