Lei ha ragione, presidente Musumeci: la Sicilia è irredimibile. Irredimibile è l’isola in cui
l’ onorevole Giuseppe Gennuso, deputato siracusano della maggioranza che sostiene il suo governo,
è agli arresti per voto di scambio politico-mafioso a favore della cosca criminale di Avola, il
leghista Salvino Caputo è accusato di aver comprato voti e diversi deputati di varie forze politiche
risultano coinvolti in inchieste penali per il sospetto di aver violato la legge pur di acquisire
consensi clientelari. Irredimibile è la Sicilia dei 1000 emendamenti ad una legge di stabilità debole e
contraddittoria che andrà in Commissione Bilancio dell’ARS il 18 aprile. Un (ex?) esponente della
sua maggioranza, l’onorevole Cateno De Luca, ha addirittura indetto una conferenza stampa
preannunciando emendamenti alternativi in Finanziaria “alle proposte farlocche del governo
Musumeci”. Siamo di fronte alla possibilità – tutt’altro che di scuola- che non si riesca ad approvare
lo strumento finanziario entro la scadenza fatidica del 30 aprile. Se ciò malauguratamente si
verificasse- nonostante lo straordinario sforzo del presidente della Commissione che, ohibò, ha
ipotizzato che i deputati possano lavorare perfino di sabato- Lei conquisterebbe un record: il primo
presidente della Regione che porta la Sicilia alla gestione provvisoria del bilancio, condannando alla
paralisi definitiva la già lentissima macchina regionale. E irredimibile la Sicilia del continuo
scontro ideologico con lo Stato in nome di un ‘Autonomia regionale trasformata da risorsa ad
ostacolo della crescita sociale e civile di questa terra, che pure avrebbe bisogno di tornare a
rappresentare un valore per tutti i siciliani. E’ irredimibile la Sicilia dei tagli alla cultura ed alle
associazioni antimafia per trovare i denari necessari a dare risposte ad altre emergenze sociali, di
lavoratrici e lavoratori la cui precarietà è ormai pluridecennale. D’altro canto fu un notissimo
ministro dell’Economia di un governo dell’ex Cavaliere che affermò che con la cultura non si
mangia: un esempio illustre da seguire! E’ irredimibile la Sicilia dei collaboratori parlamentari
assunti come colf e che si sfogano all’ombra delle telecamere: dove lavorano in cinque, è possibile
occuparne venti. Le diamo atto, egregio presidente, che questo disastro risale lontano nel tempo:
agli anni felici dello spreco e delle vacche grasse quando furono creati gli otto miliardi di debiti di
cui Lei- a ragione- lamenta il peso pressoché insostenibile. Non siamo stati teneri con il suo
predecessore che ebbe l’incommensurabile abilità di diventare il parafulmine di tutto che nell’isola
non funzionava, ma anche Lei sembra aver difficoltà a comprendere che i processi di riforma per
realizzarsi richiedono quattro requisiti: la chiarezza delle proposte, la capacità di non abbandonarli
a metà del guado, l’attitudine a costruire consenso ed il coraggio di affrontare il dissenso.
Altrimenti “riforma” diventa una parola malata, di significato opposto al suo valore semantico,
come troppo spesso si è rivelata in Italia negli anni più recenti. Sulla definizione stessa di
irredimibile vi sarebbe, in ogni caso, da discutere. Ne Il Gattopardo di Tommasi di Lampedusa è il
piemontese Aimone di Chevalley che scrutando dalla sua carrozza il paesaggio , “fra urti e scossoni
si bagnò di saliva la punta dell’indice, ripulì il vetro per l’ampiezza di un occhio. Guardò, dinanzi a
lui sotto la luce di cenere, il paesaggio sobbalzava, irredimibile” ( cit. da G. Savattieri, Non c’è più
la Sicilia di una volta”). Trent’anni or sono, nel gennaio 1988, fu Leonardo Sciascia ad affibbiare a
Palermo l’appellativo di “città irredimibile”, riferendosi oltre che al rapporto con la mafia a tutto ciò
che nella città non funzionava. Sul dizionario irredimibile è definito “ciò che non può essere
liberato da una colpa , da un peccato, escluso da qualsiasi possibilità di riscatto. “ Forse il peccato
maggiore dei siciliani è aver consentito che allignasse e proliferasse un ceto politico in buona parte
scadente e a volte moralmente discutibile, col quale tuttavia la Sicilia non può essere identificata.
Non si confonda la Sicilia in cui la metà dei giovani tra i 18 e i 36 anni sono fuori dal mercato del
lavoro, l’isola di quell’;imprenditoria- minoritaria ma qualificata- che spesso da sola ha affrontato e
superato la peggiore crisi degli ultimi settantanni, il luogo delle eccellenze intellettuali che
continuano ad impegnarsi e studiare spesso in solitudine quando non sono costrette ad emigrare, la
regione in cui è cresciuta di più la povertà assoluta; non si confonda tutto ciò con l'isola degli affari
e delle connivenze. Non si permetta di far dimenticare quanto nell’isola c’è di mondo del lavoro,
spesso precario malpagato e privo di diritti,che svolge con grande dignità il proprio ruolo senza
aspettare le mance della spesa pubblica regionale. La gente che vive in questa terra così
contraddittoria non ha da redimersi da alcun peccato, ma rivendica più dignitose condizioni di vita e
speranza nel futuro. Tra le molte interpretazioni dei recenti risultati elettorali, forse è stata trascurata quella più semplice: in maniera trasversale ceti sociali e generazioni anagrafiche diverse hanno
manifestato la loro stanchezza per una politica che vive racchiusa nella propria torre d’avorio ed
hanno voluto segnare la strada di un cambiamento non più rinviabile, anche se ancora difficile da
individuare nelle forme che potrà assumere.
Sicilia splendente e poi irredimibile, da Federico II a Musumeci, ai giovani la sentenza
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