Attentato Antoci, ex presidente Parco dei Nebrodi: procura di Messina chiede l’archiviazione

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La Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione per il procedimento aperto dopo l’agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Dopo due anni dall’attentato, subito il 18 maggio 2016, non ci sono colpevoli. Nonostante le cicche di sigarette, un paio di sagome notate dai poliziotti e tre colpi di calibro 12 conficcati nell’auto non è stata possibile individuare l’identità dei killer e dei mandanti.

Nel provvedimento della Dda di Messina, firmato dai sostituti Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco, e controfirmato dal capo della Procura Maurizio De Lucia, che raccoglie tutti gli elementi, si legge che le indagini “non hanno consentito di risalire all’identificazione degli autori di tale grave fatto”. Adesso toccherà al gip decidere.

La Dda iscrisse nel registro degli indagati 14 persone con l’accusa di tentato omicidio aggravato ma nonostante tutti, chi volontariamente chi con un provvedimento del gip, si sottoposero al prelievo del Dna per confrontarlo con quello trovato sulle sigarette abbandonato sul luogo dell’agguato. Si tratta di Sebastiano Foti Belligambi, Giuseppe Conti Taguali, Sebastiano Musarra Pizzo, Salvatore Armeli Iapichino detto “Zecchinetta”, Sebastiano Destro Pastizzaro, Daniele Destro Pastizzaro, Carmelo Fabio, Giuseppe Calà Campana, Nicola Antonio Karra, Antonino Foti detto “Biscotto”, Andrea Cerro, Giuseppe Foti Belligambi, Litterio Cerro e Carmelo Triscari Giacucco. Per tutti l’esame ha dato esito negativo e i magistrati della Dda hanno chiesto l’archiviazione.

Una cosa certa però è venuta fuori dal lavoro di Magistrati e Forze dell’Ordine, nonché dalle perizie effettuate a Roma: Antoci doveva morire, colpendo prima l’auto e poi, attraverso le molotov ritrovate, incendiarla e obbligare lui e gli uomini della scorta a scendere per essere poi giustiziati.

“Altro che atto intimidatorio come alcuni avevano ventilato, guidando la macchina del fango, – dichiara Antoci – viene fuori invece l’agghiacciante volontà del commando di uccidere me e gli uomini della scorta attraverso un attentato efferato e crudele”. Pur trattandosi di una richiesta di archiviazione, che non chiude il caso ma che lo mette al riparo da problemi tecnico-giuridici, è venuta fuori, inequivocabilmente, la dinamica dei fatti. “Aspetto di leggere meglio le motivazioni della richiesta di archiviazione – continua Antoci – cercando di dare anche io il mio contributo, ma nel frattempo nessuno si illuda tra i mafiosi e i collusi che il pericolo è passato, l’impegno va avanti con convinzione e con quanti hanno gustato la libertà e la necessità di portare avanti nei Nebrodi, in Sicilia e nel Paese sani e puliti percorsi di legalità. Ormai il Protocollo è legge, se ne facciano una ragione, ormai i mafiosi non potranno più accaparrarsi i Fondi Europei per l’Agricoltura a discapito dei poveri e onesti agricoltori”.

Chiare le modalità dell’attentato e altrettanto chiara la paura degli intercettati di parlarne addirittura evidenziando una maniacale attenzione a bonificare le auto in cui viaggiavano dalla presenze delle microspie. “Forse un giorno uscirà il solito pentito – continua Antoci – che porterà ad assicurare alla giustizia i mafiosi che quella notte ci hanno attaccato. Del resto la storia della Sicilia ci ha insegnato che è solo grazie a loro e allo sforzo degli investigatori che, alla fine, si sono risolti indagini sugli più efferati agguati mafiosi che hanno insanguinato la Sicilia”. “Oggi la Magistratura e le Forze dell’Ordine – conclude Antoci – mettono un punto fermo, pur non riuscendo a risalire alla difficile individuazione degli attentatori, chiariscono in maniera netta una cosa: Antoci andava ucciso, andava eliminato ed in un modo terribile e feroce. Coloro che in questi due anni hanno tentato di depistare, di infangare, di frenare tutto il percorso avviato hanno ormai una sola cosa da fare: Vergognarsi – conclude Antoci.

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