Contratto Lega-5Stelle, cap. 11, Giustizia: dettagli di cambiamento positivi nella più generale furia iconoclasta

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Nel capitolo 11 del contratto di governo, riguardante la giustizia, pubblicato qualche giorno fa dall’Uffington Post, è prevista una svolta totale che, se da un lato contiene aspetti positivi come la riapertura dei piccoli tribunali territoriali già soppressi dalla legge Severino, “con l’obiettivo di riportare Tribunali, Procure e Uffici del Giudice di pace vicino ai cittadini e alle imprese”, o la rimozione del “correntismo” dal Csm attraverso una “revisione del sistema elettorale” sia per i togati che per i laici, troppe sembrano, di contro, le abiure che Salvini e Di Maio pretendono di imporre rispetto a tante scelte doverose della passata legislatura. Innanzitutto con l’abrogazione di “tutti quei provvedimenti tesi unicamente a conseguire effetti deflattivi in termini processuali e carcerari”, e poi con la cancellazione della riforma dell’ordinamento penitenziario: è prevista la riscrittura di nuove norme, oltre a una “rivisitazione sistematica e organica di tutte le misure premiali”: a rischio dunque anche la legge Gozzini. Qui la furia giustizialista sembra raggiungere il top perché si parla di ripristinare la “certezza della pena” e si dà per scontato che le pene alternative siano atti di gentilezza. Viene rinnegato tutto il lavoro svolto da magistrati, avvocati e accademici ai tavoli degli “Stati generali” voluti da Andrea Orlando. Ma forse la cosa meno condivisibile e considerata dagli addetti ai lavori “inumana”, è il proposito di rivedere le linee guida di Consolo sul 41 bis, quelle che ora consentono, a chi si trova nel “regime speciale”, di poter svolgere i colloqui con i familiari in condizioni più umane, soprattutto di poter toccare e abbracciare i figli piccoli. Come scrive Errico Novi sulle pagine del Dubbio, “Quando si prevede di sopprimere queste aperture in modo da ottenere un effettivo funzionamento del regime del “carcere duro”, così testualmente nominato, si dà sfogo a un mero impulso di violenza politica”.

Il capitolo 11 affronta la giustizia con uno spirito implacabile e scrupoloso anche se in molti punti segnato da un’apprezzabile idea di Stato più vicino ai cittadini e di argine alle derive del correntismo in magistratura. Generalmente ritenuta giusta l’idea di chiudere in modo definitivo la partita “toghe in politica” con la previsione che il magistrato intenzionato a intraprendere una carriera da deputato o ministro debba “essere consapevole del fatto che non potrà tornare a vestire la toga”: idea condivisa da Anm e Csm. Doverosa e inevitabile la «completa implementazione del processo telematico» e ambiziosa l’idea di ampliare il piano di assunzioni realizzato da Orlando, sia per la «magistratura» che per il «personale amministrativo». Maggiori dubbi e incognite invece sulla «completa modifica della recente riforma» della magistratura onoraria, anche se il proposito di affrontare «le coperture previdenziali» è considerato sacrosanto. Giusto il progetto di formazione delle forze di polizia sulla «ricezione delle denunce» relative ai reati sessuali, come chiesto di recente dal Csm. Costosa ma inoppugnabile la dichiarata volontà di sopprimere l’ultimo aumento del contributo unificato.

C’è dunque, prevedibilmente, una vocazione “popolare” nella giustizia di Lega e M5s. Ma è impressionante la venatura ipergiustizialista e iconoclasta sul carcere, che segna tutto il paragrafo sul penale; arriva il temuto de profundis sulla riforma penitenziaria: addio al potenziamento delle misure alternative, e persino addio alla «sorveglianza dinamica» nelle carceri, che significa tenere tutti chiusi in cella 22 ore su 24. Nell’ultima versione del “contratto” è comparso persino un richiamo al «lavoro in carcere come forma principale di rieducazione e reinserimento sociale», che è un’implicita chiusura alle pene alternative. Una visione cupa quella che prescrive la «abrogazione» degli «svuota carceri» : non una parola sul fatto che tra gli «sconti» introdotti di recente ci sono anche i rimedi riparatori imposti, di fatto, dalla sentenza Torreggiani. Se la sezione penitenziaria è distruttiva (tranne che in campo edilizio, considerata la volontà di «costruire nuove carceri») quella su processi e pene fa paura. Intanto si pensa di buttare a mare quel po’ di depenalizzazione attivata di recente e la stessa norma sulla archiviazione dei reati per tenuità del fatto. Torna il fantasma della “legge Molteni”, proposta dal plenipotenziario di Salvini sulla giustizia, che escluderebbe il rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo, e ancora più cupa l’ombra che si staglia perentoria a proposito della «seria riforma della prescrizione», seppure bilanciata dall’obiettivo di un «processo giusto e tempestivo» che sarebbe realizzabile con le sole nuove assunzioni. Ma al solo evocare la parola “corruzione” nel contratto si assiste alla seguente raffica: divieto di accesso ai riti premiali alternativi per i tutti i reati contro la Pa, aumento delle relative pene, «Daspo» per corrotti e corruttori, fino alla più assurda delle proposte: la previsione della figura dell’«agente provocatore». Scontato il potenziamento delle intercettazioni, che si tradurrebbe nell’estensione dell’uso dei trojan. Restano sullo sfondo le prevedibili asprezze sulla legittima difesa, terreno scivoloso e poco compatibile con la Costituzione vigente.

Giustizialisti, indubbiamente, ma diversi. Movimento cinquestelle e Lega sono su posizioni parallele: i grillini hanno idee assai più restrittive per tutti gli istituti relativi al contrasto alla corruzione, per esempio sulla prescrizione dei reati e l’uso delle intercettazioni; il partito di Salvini è più severo negli slogan e nei programmi per il contrasto alla microcriminalità e ai reati comuni.

Ma alla fine l’impeto giustizialista dei cinquestelle come si tradurrebbe in programma sulla giustizia? In parte ha risposto, in alcune dichiarazioni pubbliche e in un’intervista al Mattino, il guardasigilli designato, Alfonso Bonafede. Altri punti sono stati definiti con un referendum online dell’estate scorsa. In generale l’obiettivo è uno, sempre lo stesso: lotta dura ai corrotti. È il mantra. Il resto viene di conseguenza o è subordinato. La soluzione al sovraffollamento? Costruire nuove carceri, ristrutturare le sezioni in disuso. A sorpresa, uno dei pochi altri nodi della giustizia in cui Di Maio sarebbe d’accordo con Salvini riguarda l’attività politica dei magistrati: anche i cinquestelle ritengono che chi lascia la toga per lo scranno parlamentare debba farlo in modo irreversibile.

Le strade si divaricano a cominciare proprio dalla magistratura, in particolare dalla separazione delle carriere. Il Movimento di Grillo è contrario.

Se ci si inoltra negli snodi chiave del processo penale, si verifica la particolare vicinanza tra il M5s e le teorie di Piercamillo Davigo. A cominciare dall’introduzione della reformatio in peius, cioè della possibilità che, in appello, un imputato vada incontro a una condanna più severa di quella inflittagli in primo grado anche quando è lui a proporre ricorso. Altro punto forte del programma grillino è la modifica delle recenti norme sulla prescrizione: l’estinzione del reato non potrebbe più intervenire già dal momento del rinvio a giudizio, con il rischio che le successive fasi del procedimento abbiano durata indefinita.

Cambierebbe pure un’altra disciplina fortemente voluta da Orlando, quella sulle intercettazioni, il cui uso verrebbe reso sempre possibile quando si procede per reati contro la pubblica amministrazione. I trojan horse, cioè i virus spia, potrebbero essere usati nel domicilio dell’indagato anche se non si ha fondato motivo di ritenere che si stia per consumare un’attività delittuosa. La selezione delle conversazioni rilevanti sarebbe sottratta al filtro della polizia giudiziaria.

Forte consonanza sul rito abbreviato, in particolare sull’assoluta esclusione dell’istituto per reati come stupro e omicidio, in modo che chi viene condannato all’ergastolo per esserne stato riconosciuto colpevole non possa usufruire di sconti di pena.

Assai meno radicale, rispetto a Salvini, la modifica ipotizzata dai cinquestelle sulla legittima difesa: verrebbe escluso l’eccesso colposo per chi non ha potuto valutare la consistenza della minaccia in virtù di condizioni oggettive, per esempio il fatto che l’aggressione avvenga di notte, o soggettive, o dovute allo stato di agitazione, o perché si è indotti in errore dall’aggressore. Ma le indagini su chi spara non sarebbero cancellate.

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