Iniziare un nuovo anno con una nuova lettura è qualcosa che procura la sensazione dell’accensione dei motori del mezzo che ci accompagnerà lungo un viaggio che inizia sempre con grandi aspettative. Un buon libro è quello che ci dice quello che vogliamo sentirci dire, quello che aggiunge valore alla nostra conoscenza, è qualcuno che ci presta i suoi occhi, il suo cervello, la propria esperienza. Qualche volta è un buon maestro, ed è il caso di Roberto Calasso che nel suo libro di ragionamenti e predizioni ci dona il suo sguardo prezioso sull’umanità che siamo diventati, uno sguardo Attento e Severo, per dirla con Malebranche, una necessaria “preghiera naturale dell’anima”.
“La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi”. Siamo i secolari uomini di oggi, per Calasso, i quali ignorando il sacro e il divino coltivano un’unica religione: la società. Ci seziona e ci identifica, denudandoci a noi stessi, in abitanti generici e “sostenitori dell’attuale” ovvero i più tra gli umanisti, gli analogisti, gli spirituali ma non religiosi, i refrattari insofferenti, i transumanisti, in una rassegna nella quale si evidenziano gli errori piuttosto che gli erranti. Ma anche i liberatori della coscienza: Adorno, Roberto Bazlen, Benjamin, Céline, Robert Frost, Simone Weil. Roberto Calasso ci affascina e ci spinge a tornare ad autori che conosciamo con una nuova prospettiva, utile a comprendere la realtà in atto, ma con “l’applicazione de l’animo innamorato de la cosa a quella cosa”, secondo la definizione veridica che Dante ne dà nel Convivio (II, XV, 10), cioè con la passione dello studio.
Alcuni di questi appartengono a una sovra-categoria, chiamata Homo saecularis. Homo saecularis è ciascun membro della società incapace di cogliere il divino: può essere cristiano, ebreo, musulmano, vegetariano, bibliofilo, cultore delle scienze e delle arti, buddista, nulla di questo ha importanza: il divino è altro rispetto alla religione e al culto.
Scrive quindi Roberto Calasso:
“Il divino è ciò che Homo saecularis ha cancellato con cura, con insistenza. Ma il divino non è come una roccia, che tutti inevitabilmente vedono. Il divino deve essere riconosciuto. E il riconoscimento è l’atto supremo verso il divino. Atto spontaneo, momentaneo, non trasponibile in uno stato”.
Homo saecularis vive in una Società che adora, ha fede nella Società e agisce per la Società. Non ha capacità di guardare oltre la società (intuendo, scorgendo Dio). Non c’è fame di Dio né di divino nella nostra società ma un certo godimento fratricida. L’Homo saecularis di Calasso non può essere felice perché avverte l’inconsistenza dell’ambiente in cui vive, e di sé. In realtà Homo saecularis starebbe per estinguersi ed essere rimpiazzato da Big Data, che non è un homo ma un essere; la sua società si chiama dataismo essendo valore supremo di Big Data il flusso d’informazione. Yuval Noah Harari, autore di Homo Deus, citato da Calasso a sostegno della sua tesi, prevede che all’uomo non spetterà più il compito di trovare un significato alle cose, ma soltanto quello di registrarle e condividerle sotto forma di dati. Saranno gli algoritmi a trovare un perché e uno scopo alla Cosa: “Dada fu il momento della sconnessione universale (…), Dataismo è il momento della connessione coatta”. E qui per Roberto Calasso s’insinua l’iconologia di Tiepolo, indecifrabile perché neppure Tiepolo ha mai saputo decifrarla essendo frutto dell’invenzione o del caso. L’inconscio di Tiepolo ha saputo creare alfabeti rivoluzionando gli esistenti. il Maestro Tiepolo adorava scarabocchiare apocalissi del potere nei palazzi dei principi. Testimone di quel che ancora si deve compiere, Tiepolo è cittadino di Proxima Centauri, è l’anti Homo saecularis; in quanto massimo inventore umano di significati diventa l’acerrimo nemico delle connessioni coatte imposte dall’ente Big Data.
“Dal maggio del ’45 a oggi siamo entrati in una zona che non ha nome, per questo è l’innominabile attuale”. Nella seconda parte del libro Calasso raccoglie un’antologia dell’inquietudine degli anni dal 1933 al 1945 fatta di voci polifoniche tratte dai diari e dalle lettere dei grandi scrittori del tempo o da semplici appunti di guerra che disegnano il cammino dal presentimento alla certezza del male. In una cinquantina di pagine, Louis-Ferdinand Céline, Virginia Woolf, Samuel Beckett, Joseph Roth, Klaus Mann e tanti altri, mostrano come un leggero turbamento possa diventare campo di sterminio, e una paura improvvisa tramutarsi in distruzione di una civiltà intera.
Pur essendoci liberati da paradigmi religiosi, politici e tradizionali, ciò non si è tradotto, per Calasso, in soddisfazione o felicità, ma in una specie di panico. La vittoria della secolarità che ormai pervade tutto il mondo contiene in sé un paradosso: Homo saecularis ha vinto la sua battaglia sul mondo ma gli manca qualcosa di essenziale, domina ma si rivolta contro se stesso. Tutti i nomi che usa sono inadeguati e richiederebbero quella “rettifica” che secondo Confucio era il primo compito del pensiero.
“Il mondo di Homo saecularis non ha una categoria che lo rappresenti. Non l’impiegato, l’operaio, il manager, il politico. Il Turista, invece, è l’unica categoria rimasta a ricoprirle tutte. Non è solo un uomo che viaggia, ma il modello antropologico della realtà virtuale. I tecnici della realtà virtuale parlano di una “realtà aumentata”, che però si fonda su una realtà diminuita, a cui è stato sottratto un carattere imprescindibile: l’irreversibilità.(…) Homo saecularis si è sbarazzato delle religioni, ma è tremendamente credulo”.
Una delle cause rimane per Calasso la rivoluzione digitale, di cui siamo in una fase iniziale: nella Silicon Valley, ci racconta, che è il suo epicentro, si assiste a un fenomeno senza precedenti: alcuni imprenditori avviano investimenti che modificano il mondo giorno per giorno. Sotto il nome di intelligenza artificiale si celerebbe oggi non più, come negli anni Settanta, una sorta di dottrina esoterica, ma una potenza economica dirompente. Laggiù non si parla e non si scrive d’altro che del momento in cui le macchine saranno più intelligenti di noi, eliminando l’aspetto più importante: la coscienza, della quale non si occupa nemmeno la neuroscienza. “Sarebbe d’aiuto per tutti leggere le Upanishad”.
Inattuale sembra il concetto, tanto arcaico, di “sacrificio” che sottintende all’intero ragionamento, e che Calasso ritiene invece utile per descrivere altri aspetti dell’attualità, e lo attualizza: (…) “Il sacrificio lo si ritrova ovunque nella storia. Per un lunghissimo periodo le civiltà più distanti sono accomunate dal fatto che in forme diverse tutte praticano il sacrificio, dalla Cina all’India alla Grecia alla Palestina. Poi c’è una svolta: con Gesù il sacrificio vuole finire per sempre e diventa, nella messa, memoria del sacrificio. Ma al tempo stesso la morte di Gesù è un ritorno alle origini del sacrificio, dove è il dio a sacrificarsi. Il sacrificio non scompare perché la società secolare ha deciso di non usarlo più come atto rituale. Torna in altre forme. Il terrorismo – e soprattutto la guerra, a partire dalla Prima guerra mondiale. (…) Il sacrificio continua a esserci, la società non riesce a vivere senza”. All’origine, ci sarebbe quindi il bisogno di una vendetta globale, un grande rigetto del mondo occidentale. Un certo numero di persone, in una fascia di paesi che va dal Marocco all’Indonesia e comprende più di un miliardo e mezzo di abitanti, si sente sopraffatta, esautorata. Nel modo di vita, di essere. “E la pornografia? Non meno importante della conquista economica: il fatto che da un momento all’altro, in paesi dai rapporti complicati con l’eros, la visione di un numero infinito di corpi femminili nudi che compiono atti sessuali diventi realtà accessibile gratuitamente in rete nel giro di pochi secondi è stato uno shock enorme, che irrideva il desiderio nel momento in cui lo suscitava”. Poi ci sono i refrattari a questo stato di cose, quelli che non si ritrovano nella figura dell’Homo saecularis. Gli sperduti, i soli, i ragazzi che neanche all’università trovano ascolto. Quelli che provano “un dolore senza uno spasimo, vuoto, buio e desolato”.
Questo libro, uno dei nove che costituiscono la lunga e profonda Attenzione Severa di Roberto Calasso sull’Innominabile Attuale”, fondatore della casa editrice Adelphi e autore di pregiate opere di traduzione, ha un unico nemico: il “minimizzatore”: chi minimizza è colpevole, oltre che pavido; la minimizzazione essendo l’altra faccia della rimozione della paura. È necessario quindi smettere di avere paura della paura. La paura, ci ricorda l’autore, è sorella del coraggio, e sorveglia, previene, protegge.
In copertina: Giambattista Tiepolo, “L’Olimpo e i continenti, Asia” (1753) – Residenz, Würzburg.