Disse Johann Sebastian Bach che la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Capita che questo assordante silenzio della vita risulti insopportabile perché è in quel silenzio che scorrono le immagini più tragiche di ciò che ti è capitato senza che mai ne hai compresa la ragione. Sarà per questo che esiste il cuore: ti serve ad ascoltare quelle ragioni che la ragione non vuole sentire.
È successo ad Andrea e al suo pianoforte.
Qualche tempo fa la vita di Andrea è cambiata: a sua fratello è stato diagnosticato un tumore con metastasi diffuse. Andrea si è ritrovato a guardare suo fratello fare cicli di chemioterapia e radioterapia, trasfusioni, t.a.c. e risonanze magnetiche di controllo. Si è ritrovato a guardare i suoi genitori disperarsi, pregare e sperare e litigare e separarsi, mentre lui rimaneva in un angolo, quasi invisibile. Andrea qualche tempo fa è stato travolto dal buio, un vuoto totale in cui non riusciva a capire più chi era, si è ritrovato a camminare sempre in punta di piedi per non disturbare, a non mostrarsi mai triste e, in un certo qual modo, a non provare più niente. Qualche tempo prima suonare il pianoforte era per Andrea soltanto qualcosa che gli toglieva il tempo di stare con gli amici. Ora, il pianoforte, è diventato il suo migliore amico, il suo confidente. Ora, la musica, è diventata la sua voce maestra. Andrea suona per non ascoltare il silenzio assordante che lo circonda. Andrea suona perché suonare gli ha insegnato a non pensare. Andrea suona perché lasciare le dita scivolare su quegli ottantotto tasti gli permette di lasciare libero il suo dolore, permette al gelo che prova, e a cui si costringe, di diventare lentamente tepore. Andrea suonando riesce a dare sfogo alla tormenta che cova dentro di lui senza che questa lo frantumi. E in questi lunghi anni Andrea ha suonato, suonato, suonato per raccontare a se stesso quello che le parole non riuscivano a spiegare. Parlava attraverso la musica di Chopin che ha imparato ad ascoltare come fosse il poeta del pianoforte. Andrea ha trovato nella sua musica uno specchio fedele dell’anima, una confessione intima dedicata a coloro a cui non è necessario dire tutto, ma si può anche solo suggerire. Il suo pezzo preferito era stato lo Studio Op. 25 n°11, una composizione emotivamente intensa che lo faceva sentire imprigionato a una bufera, a un turbine di vento che trascina tutto con sé. La rabbia. Il dolore. I sensi di colpa. La confusione. Tutti i suoi sentimenti più intimi contenuti in un unico brano. Lo suonava e si scopriva, una volta eseguito, le guance rigate di lacrime. Quando invece suonava il Notturno op. 48 n°1 gli sembrava di raccontare di se stesso, di quello che era diventato: una persona introversa e piena di paure che ha voglia di scoppiare e dire tutto ciò che pensa, vomitando rabbia e tristezza: intimo e grandioso al tempo stesso, un notturno come ampio respiro iniziale che porta a un crescendo di angoscia, passione e tormento interiore fino a svanire, consumato, proprio come lui. Suonare il Preludio Op.28 n°. 4, malinconico e dolce al tempo stesso, lo lasciava vagare, lo faceva entrare in un mondo magico per trovare un attimo di sollievo. La solitudine. La delicatezza. La malinconia dell’anima.
La polifonia musicale, nel dialogo armonico tra basso continuo e melodia riusciva a turbarlo emotivamente quando gli offriva l’analogia più vera del mondo, di cui sapeva comunicargli le voci più sublimi e i fenomeni più dissonanti, il ridere e il piangere non solo degli uomini, ma delle cose. La musica interiorizzava il senso della sminuita rilevanza di ciò di cui avrebbe voluto sbarazzarsi, e si ritrovava interamente in quello spegnersi dolcemente del materiale sensibile, in quella esitazione del “senso” che la connotava. Andrea avvertiva nella sua stessa inadeguatezza, nella consapevolezza di non poter bastare a se stesso e, nella spinta interiore a cercare sostegno fuori di sé, un’immensa nostalgia dell’approdo determinato, la ricerca di salvezza dal vano struggimento, una necessità di profondità semantica, di tensione ad esorcizzare il rischio di un defluire trasognato di suoni e sentimenti, ancorandosi al significato e al senso offerto dalle note, dalle loro tremule ed eteree vibrazioni.
Nella struttura musicale l’affetto non veniva semplicemente trasposto, o, peggio, imitato: degli affetti la musica riporta non l’esteriorità banale, la loro realtà oggettivata o il loro essere puro sfogo sentimentalistico, bensì la loro intrinseca dinamica, ciò che nella vita morale li rende sinceri e autentici, non delle pure manifestazioni di compiacimento. Ma mentre c’era stato un tempo per Andrea in cui la musica si arricchiva dei contenuti della vita affettiva, adesso quel senso si era invertito, la vita affettiva trovava nella musica le modalità più proprie dell’unica possibile autentica esplicitazione poiché nel proprio svolgersi e nella propria dinamica ricalcava il senso e la natura di quegli affetti verso i quali non poteva essere troppo vulnerabile e che trovava essere profondamente temporali e musicali.
Andrea ha trovato nel pianoforte e nella musica il suo modo di sopravvivere, perché anche se non era lui quello malato una parte di lui è morta qualche tempo fa. Lasciare che tutti i suoi sentimenti avessero luogo, nella possibilità di non venirne travolto ma di poterli controllare con le sue dita l’ha aiutato a sopportarli per poter continuare a vivere, trasformando il suo dolore in musica, raccontando il suo dolore attraverso le note.
Andrea ha una Maestra che gli ha insegnato tutto ciò che sa, una Maestra tutta per sé, la Musica. Con il tempo e l’esperienza ha imparato a far vibrare i più diversi stati d’animo: la paura ascoltando la musica Epica, l’affanno e la spossatezza con gli ultimi quartetti di Beethoven, la decisione con Wotan, ma anche l’esitazione, l’abbattimento, la durezza, la tenerezza, l’eccitazione, il rianimarsi, il quietarsi, il sorprendersi, lo stupore, l’aspettativa. Anche la risonanza interna di avvenimenti esteriori che è contenuta in quegli stati d’animo. La sua musica è diventata parte dell’universo vibrante: se solo lo volesse riuscirebbe ad ascoltare a 250 milioni di anni luce il “sì” emesso dal buco nero della galassia NGC 1275, talmente basso da non poter essere normalmente udito da orecchio umano. In un’immaginaria tastiera di pianoforte lunga a piacere saprebbe ascoltare la nota che si trova 57 ottave sotto il “do” centrale, quella che con la sua potenza scalda la gigantesca nube di gas e polveri che circonda il buco nero.
A volte Andrea riesce a immaginare la musica delle sfere leggendo Dante quando nel Paradiso canta:
“Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l’armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso”. (Par I, 76-81)
Andrea adesso comprende Cicerone, che a Scipione Aureliano fece ascoltare, durante il sonno, la stessa musica, e che gli fece chiedere, stupito: “Ma che suono è questo, così intenso e armonioso, che riempie le mie orecchie?”. Quel suono che sull’accordo di intervalli regolari risulta dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse e, equilibrando i toni acuti con i gravi, crea accordi uniformemente variati, movimenti così grandiosi che non potrebbero svolgersi in silenzio e per i quali la natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi l’una, acuti l’altra.
Andrea riesce a sentire l’armonia dell’universo fatta di ritmi, numeri e proporzioni; per Andrea i sette pianeti conosciuti (Sole, Luna e i cinque pianeti visibili) corrispondono alle sette note naturali che nelle sembianze di increspature dentro a nuvole di gas e polvere, nel remoto ammasso di Perseo, producono la stessa incommensurabile armonia dell’infinitamente piccolo della teoria fisica delle stringhe.
Andrea legge Pitagora e la sua musica delle sfere e sa che questi suoni possono essere percepiti da chi si prepara ad ascoltarli. Gli piace pensare che ogni pianeta produca un suono diverso e che tra loro esista un’incredibile relazione armonica, come dentro la profondità della sua anima. Gli piace scoprire i procedimenti segreti di trasformazione fisica e di guarigione con il suono e la musica.
Andrea è diventato un musicista che compone e che sa trasformare in suoni fisici il ritmo, le armonie e le melodie che durante la notte percepisce nel devachan e che sono rimaste impresse nel suo corpo eterico. Conosce il misterioso rapporto tra la musica che risuona nel suo corpo e l’ascolto della musica spirituale durante la notte che sa trasformare in euritmia, in equilibrio tra parole, gesti, movimento, respiro che gli donano tutte le volte un nuovo modo di guardare il reale.