La parola d’ordine era il rifiuto di ogni alleanza, patto, inciucio. Soli alla meta. Né destra, né sinistra, né centro. E chi osava porre il quesito cruciale – come farete a governare? – riceveva una lezione di buona politica. Vano il tentativo di spiegare che non basterebbe la maggioranza assoluta, in Parlamento ci si confronta, le Camere sono luoghi di mediazione per loro natura. E’ impossibile governare le istituzioni – esecutivo e legislativo – senza mettere in conto il dialogo.
Archeologia.
Il 4 marzo ci consegna il Movimento 5 Stelle in versione riveduta e corretta, grazie al “contratto”. Da sottoscrivere con chiunque, destra, sinistra, centro, perché bisogna mettere “a reddito” undici milioni di consensi. E allora, invito al centrodestra, poi al PD, infine alla Lega. Il Paese ha bisogno di un governo, e si deve fare tutto il possibile per metterlo in piedi. Franza o Spagna purché si governi.
Quanto alle modalità, il passato occorre lasciarselo alle spalle. Lo streaming, che si trasformò in una gogna mediatica per quel galantuomo di Pierluigi Bersani, è morto e sepolto. Il tavolo della trattativa Di Maio-Salvini, è un luogo inaccessibile. Non esce dalle stanze dell’intesa né un nome né un’anticipazione. Far sapere può dare la stura al gossip, minerebbe alla radice l’esito della trattativa. Dallo streaming alla stanza dei bottoni il passo è lungo, il tempo breve.
Se dovesse andar male? Si tornerebbe all’archeologia, statene certi. Tutto è puro per i puri (di cuore e d’animo). E poi, come si dice, ad astra per aspera.