La perequazione delle pensioni entra nel “contratto”, ecco chi ci guadagnerà nel 2019

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La perequazione del trattamento pensionistico è oggetto di discussione nella trattativa per la formazione del nuovo governo Lega e M5S. I due partiti lavorano al superamento della legge Fornero, con l’introduzione di Quota 100 e Quota 41le soglie che consentirebbero di anticipare di 3 anni l’età pensionistica per la maggior parte dei lavoratori. Sembrerebbe prevalere l’ipotesi di un taglio alle pensioni sopra i 5.000 euro relativamente ai contributi versati durante la vita lavorativa.

La rivalutazione della pensione può giungere fino a 3 volte l’importo del trattamento minimo. Prendendo in considerazione una pensione di 3.000 € lordi, la rivalutazione sarà al 100% per la metà (1.500€, ovvero tre volte il trattamento minimo), al 90% per ulteriori 1.000€ (5 volte il trattamento minimo, quindi 2.509,45€) e al 75% per i restanti 500€

La proposta della quota 100 non sembra soddisfare la CGIL, che ritiene necessaria una vera e propria riforma sulla pensioni, in modo da superare l’impianto strutturale e dare risposte a tutte le generazioni e le condizioni lavorative.

Roberto Ghiselli, segretario generale della CGIL, sostiene in particolare che “41 anni per la pensione di anzianità e quota 100 rappresentano alcuni aspetti importanti del problema, ma non vanno dimenticati anche i temi della flessibilità in uscita, con la possibilità di andare in pensione dopo i 62 anni, il superamento dell’attuale meccanismo che lega l’età di pensione all’aspettativa di vita, e la questione decisiva della pensione contributiva di garanzia per chi, come i più giovani ma non solo, ha una carriera lavorativa discontinua o con bassi contributi, come i part time».

Il 1° gennaio 2019, come abbiamo riferito, saranno in vigore nuove regole per la rivalutazione dei trattamenti previdenziali e soprattutto gli importi delle pensioni verranno adeguati all’aumento del costo della vita. Nel caso in cui ci sia un’eventuale inflazione, i trattamenti pensionistici si adegueranno di conseguenza. Questo adeguamento però non riguarderà i trattamenti superiori a sei volte il minimo, come ha sentenziato la Corte Costituzionale.

Con la legge Fornero, nel 2011 era stato previsto il blocco dello strumento della “perequazione”, tornato poi in funzione nel 2013 con la legge n. 174 che prevedeva una fase transitoria fino al 2016, poi prorogata al 2018. Questa fase transitoria, è bene ricordarlo, prevede 5 scaglioni di reddito con le relative percentuali. Per esempio è stato stabilito che coloro i quali sono in possesso di una pensione inferiore il trattamento minimo INPS (per il 2018 pari a €507,42) abbiano un beneficio del 100%, ma questa percentuale è inversamente proporzionale al reddito, quindi se aumenta il reddito la percentuale si riduce nella misura sotto elencata:

  • 95%: se l’importo è compreso tra 3 e 4 volte il trattamento minimo;
  • 75%: importo compreso tra 4 e 5 volte il trattamento minimo;
  • 50%: importo compreso tra 5 e 6 volte il trattamento minimo;
  • 45%: importo superiore a 6 volte il trattamento minimo.

Il 1 gennaio 2019 quando non sarà più in vigore la fase transitoria, verranno reintrodotte le percentuali previste nella legge 388/2000 e si passerà da un sistema di 5 a un sistema di 3 scaglioni

  • rivalutazione al 100% per pensioni inferiori a 3 volte il trattamento minimo;
  • rivalutazione al 90% per pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo;
  • rivalutazione al 75% per pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo.

Il blocco previsto dalla legge Fornero è stato limitato ai trattamenti di importo medio-alto: “i quali, proprio per la loro maggiore entità, presentano margini di resistenza all’erosione del potere di acquisto causata dall’inflazione, peraltro di livello piuttosto contenuto negli anni 2011 e 2012”.

 

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